«Questa decisione rappresenta l’esempio lampante di come la disinformazione abbia rovinato le persone e di come l’intera inchiesta fosse fondata sul nulla. L’accusa è stata distrutta nei fatti». Guido Camera, difensore dell'ex assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, non ha dubitato nemmeno un secondo: l’inchiesta sulla gestione del Covid nella provincia di Bergamo si è fondata più sulle accuse mediatiche che su elementi concreti. Di più: secondo il penalista, che ha incassato l’archiviazione di Gallera, assieme a tutti gli altri indagati - tra i quali il presidente della Regione Attilio Fontana, dopo l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza - è stata «la cattiva informazione, sin dal 2020» a creare «aspettative devastanti, addirittura prima che si avviasse un procedimento penale, iniziato a furor di popolo, come diceva Filippo Sgubbi». Una mediatizzazione di un fatto, diventato poi inchiesta giudiziaria per una questione di “giustizia sociale”, come affermato dal procuratore di Bergamo Antonio Chiappani, utile però solo per «la massificazione delle chat» degli indagati, ha sottolineato al Dubbio Camera, «in assenza di un fatto penalmente rilevante».

A fondare l’accusa la consulenza del professor Andrea Crisanti, oggi senatore del Pd, che però non è stata in grado di stabilire il nesso causale tra le omissioni relative al piano pandemico, la mancata istituzione della zona rossa nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro e il decesso delle vittime dei primi mesi di pandemia, 4mila morti circa ritenute evitabili dall’esperto. Che però non è riuscito a dimostrare la sua tesi, già generica: «Il vizio di fondo che caratterizza l'accusa», aveva sottolineato Camera nella propria memoria, è quello «di essere fondata esclusivamente sulla consulenza tecnica del professor Crisanti», che è però «uno studio teorico che, per espressa ammissione dello stesso Crisanti, non si è estesa al nesso di causa tra le condotte omissive contestate e i singoli decessi indicati nel capo di incolpazione». Ed è la stessa consulenza, a pagina 55, a chiarire il punto: di fronte al quesito formulato dalla procura sul nesso causale, Crisanti risponde lapidariamente «non competente in materia». La catena del contagio delle persone decedute, dunque, è rimasta «del tutto ignota», evidenziava Camera. «Si tratta pertanto di mere congetture, in virtù delle quali si ipotizza che il contagio sia genericamente avvenuto in ambito ospedaliero», aveva aggiunto il legale, che citando la giurisprudenza costante ha sottolineato come «nel reato colposo omissivo il rapporto di causalità tra omissione

ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica». Ma non solo: il consulente della difesa, Carlo Zocchetti, ha evidenziato come «prima dell‘ inizio della epidemia in Lombardia ed in Italia non erano disponibili informazioni per effettuare una stima ragionevole della quantità di Dpi che sarebbe stato necessario stoccare per il personale sanitario per affrontare l'evento epidemico» e «mancava una stima ragionevole della evoluzione quantitativa della epidemia sia in Italia che in Lombardia». Inoltre, non era possibile fare riferimento ad esperienze precedenti e «l'epidemia si è sviluppata in maniera molto più veloce rispetto alle previsioni formulate». Fino a che non sono diventati disponibili i dati epidemici reali, dunque, non era possibile fare alcuna stima e previsione di sviluppo dell’epidemia, anche mediante sofisticati, ma affidabili, calcoli matematico-statistici. Per Zocchetti, l'operato della direzione generale welfare Lombardia, «sulla scorta delle informazioni e dei dati in allora disponibili» sarebbe stato perciò «il più adeguato possibile per fronteggiare un virus sconosciuto e imprevedibile, che si è caratterizzato per la sua assoluta novità ed eccezionalità, paragonabile solo ( numericamente parlando) alla c. d. spagnola del 1918».

Il Tribunale dei ministri si è dimostrato totalmente d’accordo con tali considerazioni, evidenziando come «agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone, che sarebbero morte per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero stati se fosse stata attivata la zona rossa». La contestazione dell’omicidio colposo «si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro - scrive il Tribunale dei ministri -, una congettura priva di basi scientifiche». E «anche laddove astrattamente prospettabile, cosa che non è, il reato di epidemia colposa per condotta omissiva impropria», è un non senso affermare «che, se fossero state adottate le misure asseritamente omesse, l'epidemia non si sarebbe verificata. Considerato che l'elemento oggettivo del reato è quello di cagionare un'epidemia, detto reato, quand'anche astrattamente configurabile, sarebbe quindi certamente insussistente». Insomma, un’inchiesta «demolita nel merito ha concluso Camera -, non solo giuridicamente. Finalmente è stata ristabilita la verità. Ora va restituita la piena onorabilità anche a chi è stato sottoposto a gogna mediatica e sciacallaggio politico ingiustamente per anni».