Adesso Fratelli d’Italia e Lega giocano in difesa. Di fronte al tiro al bersaglio in corso contro la riforma Cartabia, i sottosegretari che rappresentano i due partiti al ministero della Giustizia, Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, annunciano «interventi correttivi al decreto penale, prodotto dal precedente governo su impulso della ministra Cartabia», perché, per citare l’esponente della Lega, «non devono ripetersi episodi come quelli a cui abbiamo assistito in queste ore, con la messa in libertà di alcuni soggetti colti in flagranza di reato, per mancanza di querela da parte della persona offesa». È una reazione in parte comprensibile. Di un governo, e di una maggioranza, scossi dall’uragano scatenato contro la riforma di un precedente esecutivo. Ma l’attacco concentrico è sospetto: vi partecipano gran parte dei media, pm come Nicola Gratteri, che parla ancora una volta del testo Cartabia come di un «disastro», partiti ora all’opposizione come i 5 Stelle ma che votarono eccome la legge delega quand’erano in maggioranza. Da giorni la stampa cita sempre gli stessi tre o quattro casi: il furto in albergo di Jesi, il furto d’auro in Veneto e certo, il fatto più grave, il sequestro di persona attuato da tre «presunti mafiosi» (definizione di Gratteri) del rione Pagliarelli di Palermo nei confronti di due rapinatori “indisciplinati”. Proclami di abbattimento della riforma basati su vicende che si contano sulle dita di una mano, un paio bagatellari, un’altra da considerarsi un caso limite. Ed è difficile allontanare l’impressione che il vero problema sia la piccola rivoluzione prodotta dall’intervento dell’ex ministra, che apre al superamento del panpenalismo, all’idea del processo, anzi delle iniziative inquirenti, come antidoto a qualsiasi emergenza, Non una depenalizzazione, ma almeno un tentativo di abbattere quel moloch in cui si è trasformata la repressione dei reati.