Sceneggiate napoletane a parte, leghisti e pentastellati sono probabilmente condannati a restare insieme al governo ancora per mesi, anche al netto della volontà dei leader che peraltro, al momento, resta quella di proseguire costi quel che costi. Rischia di costare parecchio ma di alternative a prezzi politici meno esosi al momento non se ne vedono. Parlare di scelte dei due leader è cosa diversa dall'alludere a due partiti. Nella Lega ma anche tra i 5S l'insofferenza reciproca dilaga ogni giorno di più, sfiora il carcerario “divieto d'incontro”. A voler resistere quanto più a lungo possibile sono Salvini e Di Maio, entrambi per calcolo e non, o forse non più, per amore. Ma l'ultima parola è la loro e, almeno per ora, quella parola non è “crisi”.

Se il governo cadesse, le alternative alle elezioni anticipate sarebbero infatti quasi inesistenti e il primo a saperlo è il rappresentante delle istituzioni con in tasca la chiave dello scioglimento delle Camere, il capo dello Stato. Negli ultimi giorni hanno goduto di ampia circolazione voci su una possibile maggioranza M5S- Pd se il governo Conte cadesse. Ma erano fatte girare ad arte per dissuadere la Lega da eventuali tentazioni di crisi: oggi il Pd di Zingaretti non potrebbe permettersi una cambio di strategia radicale nei confronti dei 5S senza passare per una cesura elettorale e probabilmente neppure i pentastellati potrebbero prodursi nel giro di valzer senza pagare poi un prezzo definitivo nelle urne. Una realtà di cui Mattarella è da mesi consapevole.

Ma se crisi, oggi, significa quasi automaticamente elezioni si pongono, intrecciati, problemi sia politici che di agenda tali da rendere il voto quasi impossibile. Per votare entro giugno, dovendo la campagna elettorale non andare per legge al di sotto dei 45 giorni né oltre i 70, bisognerebbe sciogliere le camere entro il 14 maggio: 12 giorni prima delle elezioni europee. E' uno scenario plausibile sulla carta ma non nella realtà, anche perché per i due partiti di governo sfidare le urne freschissimi di fallimento nell'esperienza comune di maggioranza sarebbe più da suicidi che da giocatori d'azzardo. Il voto a luglio o ad agosto significherebbe poi portare il livello di astensione alle stelle, e la legittimità di Camere così elette sotto quota zero. Settembre sarebbe una data possibile, ma al prezzo di una campagna elettorale estiva tra le più improbabili. Tutto può succedere, ma nel caso in questione si tratterebbe appunto di qualcosa “che succede”, di un incidente non di una scelta politica.

Il discorso è diverso per quanto riguarda ottobre. Qui i calcoli politici, sia per quanto riguarda la Lega che sul Colle, sono più complessi. Certo, crisi e voto a legge di bilancio aperta sono per definizione una specie di incubo: la vera pacchia per gli speculatori, l'occasione per colpire duro, sfruttando l'effetto instabilità, e portare lo spread molto oltre i livelli guardia. In questo caso però c'è di mezzo una legge di bilancio quasi proibitiva: c'è chi pensa che la contrattazione con Bruxelles, comunque ad alto rischio, sarebbe più facile se ad affrontarla fosse un governo basato su una maggioranza nuova e più coesa. Una maggioranza, tanto per dirne una, che non dovesse raddoppiare ogni spesa in nome della “parità assoluta” tra i soci contraenti e che potesse muoversi in materia di investimenti con una rapidità impedita oggi proprio dai contrasti strategici, in materia di modello di sviluppo, tra i gialli e i verdi. A questo nuovo governo e alla sua più solida maggioranza, la Ue potrebbe concedere, almeno per il primo anno, un'apertura di credito e maggiore flessibilità. A seconda dell'esito del voto europeo, inoltre, cambierà il peso specifico e la conseguente possibilità di trattare di Salvini. Ma certo, anche se si ritrovasse, come probabilmente sarà, all'opposizione, come capo del governo italiano il leader leghista avrebbe ben più sonora voce in capitolo.

L'ipotesi del voto in autunno, quindi, è per una volta meno surreale del solito. Ma alla fine, tanto nei partiti quanto nelle istituzioni, prevarrà probabilmente la prudenza e avrà la meglio il terrore di affrontare la legge di bilancio più difficile degli ultimi anni in situazione di instabilità e incertezza massime. Il portone sul viale delle elezioni anticipate si riaprirà solo nei primi mesi del 2020.

Solo che neppure questa è una copertura davvero sicura. Il prezzo della prosecuzione dell'esperienza di governo, salvo guizzi tali da sbloccare una situazione che è paralizzata già da quattro mesi, sarà l'immobilità assoluta: condizione mai consigliabile per un governo ma proibitiva quando ci si trova alle prese con una manovra da 40 mld di euro e passa.

Anche se, in fondo, la finanziaria più difficile e severa della storia repubblicana, quella del 1992, fu resa possibile proprio dalla paralisi del governo. La decisero in realtà due persone: il capo dello Stato Scalfaro e il presidente del consiglio Amato. Non è escluso che anche stavolta lo stallo del governo possa essere visto come condizione utile per lasciare ampi spazi di autonomia e indipendenza al ministro dell'Economia Tria. Quello che gode di maggior credito tanto sul Colle quanto a Bruxelles.