Il Tribunale di Bergamo ha un nuovo presidente: Vito Di Vita, 64 anni. Una nomina che, però, ha provocato più di una polemica in plenum, soprattutto per voce degli indipendenti, che hanno contestato, di fatto, i «due pesi e due misure» usati tra questo caso e quello di Roberto Spanò (che pure aveva fatto domanda per quella poltrona), giudice a Brescia, “costretto” a passare al civile per incompatibilità con la moglie pm, con solo due fascicoli su 1800 per i quali è stata necessaria l’astensione. Al centro del dibattito la possibile incompatibilità della toga con lo studio legale Di Vita - Lenzini, attivo in campo amministrativo e civile e, dunque, finora non in contrasto con il magistrato, giudice penale. Ma la sua nomina a presidente del Tribunale cambia le carte in tavola. Proprio per questo motivo Andrea Mirenda e Roberto Fontana hanno chiesto il ritorno in Commissione, proposta bocciata con 24 voti contrari e cinque astensioni. Ad aprire le danze è stato proprio Mirenda. È un caso «delicatissimo» e «davvero raro», ha esordito. Nella dichiarazione di incompatibilità presentata il 9 gennaio 2025, Di Vita spiega che il fratello Antonio, la moglie del fratello, Elena Lenzini, la figlia Francesca e i figli Federico fanno parte dello studio legale Di Vita-Lenzini. Il fratello e la figlia lavorano principalmente nel settore amministrativo e occasionalmente in quello civile correlato, mentre Federico, si occupa esclusivamente di diritto sportivo. «Nulla dice, invece, Di Vita sul settore praticato dalla moglie del fratello - ha sottolineato Mirenda - né della di lei sorella, avvocato Claudia lenzini, attuale assessore per le politiche della casa del Comune di Bergamo. E così pure nulla dice per l'attività svolta dall'avvocato Michele Di Vita, di cui ignoriamo l’eventuale grado di parentela col collega». Una «inusuale “esposizione”», secondo Mirenda, «in un contesto tanto piccolo qual è quello bergamasco». Da qui un controllo al sito dello studio, «ora non più visibile per ragioni che ignoro», sul quale aveva scoperto che si tratta di studio associato che si occupa di diritto amministrativo ma anche civile «e precisamente assistenza legale giudiziale e stragiudiziale in favore di privati, aziende ed enti pubblici nei settori famiglia, lavoro, contrattualistica, recupero crediti, risarcimento danni». Insomma, informazioni, secondo Mirenda, di tenore ben diverso da quelle rilasciate da di Di Vita. Servirebbe, dunque, «un’attestazione del dirigente amministrativo del tribunale di Bergamo che dia conto dell’assenza di pendenze riferibili a quello studio legale» e già questo basterebbe, secondo Mirenda, per un ritorno in Commissione. Il tema delle incompatibilità non è materia della V Commissione, che si occupa delle nomine, ma, secondo Mirenda, avrebbe il «potere-dovere ex art. 97 Cost. (quanto al buon andamento e all’efficienza dell’azione amministrativa della Pa) di accertare da subito l'incompatibilità del candidato, segnalandogli la necessità di rimuoverla e - laddove essa permanga - di proporre al plenum sovrano la corrispondente determinazione», fermo restando il diverso profilo di indagine dell'incompatibilità che spetta alla I Commissione. Il tutto per «evitare nomine traballanti, lesive persino dell’immagine della giurisdizione, destinate poi ad inevitabile revoca, con danno amministrativo evidente - ha evidenziato -. Né pare serio pensare al rimedio posticcio della rimozione successiva dell'incompatibilità» perché ciò offenderebbe «i principi di buon andamento appena ricordati - ha aggiunto - ed è ancora una volta espressione di una nostra totale autoreferenzialità corporativa che privilegia i vantaggi del singolo magistrato piuttosto che il prestigio dell'ordine giudiziario e la linearità dell’azione di autogoverno».

Nel dibattito è intervenuta la laica della Lega Claudia Eccher: «Posso affermare senza paura di smentita che non vi sono pendenze da parte della famiglia che possano far anche solo lontanamente percepire un’incompatibilità», ha affermato. Numeri che, per Fontana, non tornano: «A me risultano in un certo arco temporale circa 800 cause», ha sottolineato. «Vorrei sapere se la cancellazione del sito (riapparso poco prima del plenum, ndr) che è avvenuta in questi giorni corrisponde a livello di Consiglio dell’Ordine ad una comunicazione di scioglimento dello studio associato, perché è un elemento rilevante - ha poi aggiunto -. Noi dobbiamo essere consapevoli che, se per caso la realtà non fosse questa, oggi ci assumiamo una responsabilità enorme. Per la nomina di un Presidente di Tribunale la presenza di uno studio associato con centinaia di cause davanti allo stesso Tribunale è un elemento importante da valutare». E a rispondere a Eccher è stato anche il procuratore generale Pietro Gaeta: «Mi chiedo che senso ha veicolare informalmente le informazioni che sono assolutamente tranquillizzanti e non poterle formalizzare». Per il consigliere di Area Marcello Basilico, è «particolarmente preoccupante la lettura del sito dello studio Di Vita-Lenzini, laddove sono sparite pagine e dove ora non è più possibile identificare i collaboratori dello studio e l’attività svolta», ha evidenziato. «Forse un rinvio per produrre una documentazione un po’ più precisa sarebbe opportuno», ha aggiunto Tullio Morello.

L'incompatibilità, ha però affermato Edoardo Cilenti di Magistratura indipendente, «viene segnalata al momento della domanda e poi viene formalizzata dopo la delibera di conferimento, proprio perché la Commissione deputata possa operare una valutazione in concreto» e si «valuta ex post». E «voler trarre da questo contesto una preoccupazione tale da far sovvertire le regole in un’ottica di buon andamento non solo non è conforme alle regole, ma è anche contrario», ha aggiunto Michele Forziati di Unicost. «Il paradosso di questa vicenda è che viene fuori in una pratica a valle di una serie di pratiche in cui non ce ne siamo mai occupati».

Alla fine, la nomina è passata con solo quattro astensioni: oltre a Fontana e Mirenda, il consigliere laico in quota M5s Michele Papa e il primo presidente della Cassazione Pasquale D’Ascola. Un voto che chiude (per ora) la partita, ma apre un fronte delicato per il futuro: perché una nomina con ombre, in un contesto ristretto e sensibile come quello di Bergamo, rischia di diventare un precedente difficile da ignorare.