Si accende lo scontro politico sull’inchiesta della Procura di Perugia su presunti accessi abusivi agli archivi informatici della Procura nazionale Antimafia, accessi “mirati” a esponenti politici e del mondo economico, dello sport e dello spettacolo. Tra i quindici indagati, il tenente della guardia di finanza Pasquale Striano, già al gruppo di lavoro della Dna preposto alle “Sos”, le segnalazioni di operazioni bancarie sospette, Antonio Laudati, sostituto procuratore Antimafia, e tre giornalisti del quotidiano Domani.

L’inchiesta nasce da un esposto presentato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, alla Procura di Roma dopo un articolo pubblicato dal quotidiano in merito ai compensi ricevuti dal responsabile di via Venti Settembre per le consulenze prestate, in passato, presso la società Leonardo. Essendo coinvolto Laudati, l’indagine era stata trasferita, per competenza, a Perugia. Ora il tutto riemerge nella cronaca di politica giudiziaria perché dalla Procura del capoluogo umbro è trapelato, a indagini ancora in corso, un atto di 64 pagine: l’invito agli indagati, coperto da segreto, a rendere dichiarazioni. Una fuga di notizie si era verificata, nella medesima Procura, per l’inchiesta sulla fantomatica “loggia Ungheria”. In quella circostanza proprio gli uomini di Cantone indagarono sulla violazione del segreto, e si arrivò al patteggiamento di un ex dipendente.

L’indagine perugina sugli accessi abusivi ai server della Dna si concentra su presunte interrogazioni illecite a varie banche dati (soprattutto la “Siva”, il Sistema informativo valutario in uso alla Finanza, e “Serpico”, dell’Agenzia delle Entrate) che sarebbero state effettuate da parte di Striano, talvolta con il presunto avallo di Laudati, per verificare dati coperti da segreto, come redditi ed eventuali operazioni sospette a carico di Crosetto, del figlio di quest’ultimo Alessandro, dei ministri del governo Meloni Gilberto Pichetto Fratin, Marina Calderone, Giuseppe Valditara, Francesco Lollobrigida, Adolfo Urso, Maria Elisabetta Alberti Casellati, dei deputati Chiara Colosimo, Andrea Delmastro, Tommaso Foti, Marta Fascina.

Ma altre “spiate” avrebbero riguardato Matteo Renzi così come il presidente della Federazione gioco calcio Gabriele Gravina, l’imprenditore Andrea Agnelli, l’ex dirigente del Miur Giovanna Boda, l’imprenditore Fabrizio Centofanti (già conosciuto per il Palamaragate), l’ex ministro Vittorio Colao, l’ex assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato, il sottosegretario della Lega Claudio Durigon, il sottosegretario e braccio destro di Meloni Giovanbattista Fazzolari, e ancora Claudio Velardi, Tommaso e Francesca Verdini, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, e molti altri.

Tuttavia, come riporta Domani, «nelle informazioni che Striano avrebbe mandato ai giornalisti non c’è nessun “dossier su politici e vip” ma solamente documenti agli atti delle Procure: ordinanze di custodia cautelare e informative delle forze dell’ordine già disponibili ai magistrati inquirenti e alle difese». Le informazioni sarebbero state inviate per mail, tramite wetransfer, ai giornalisti Giovanni Tizian, Nello Trocchia, Stefano Vergine - indagati per accesso abusivo, in concorso con Striano, e rivelazione di segreto - tutti del quotidiano Domani, diretto da Emiliano Fittipaldi ed edito da Carlo De Benedetti. Gli invii coprirebbero un arco temporale di tre anni e mezzo, dal maggio 2018 all’ottobre 2022.

Intanto l’ufficio di presidenza della commissione parlamentare Antimafia, guidata da Chiara Colosimo, ha calendarizzato le audizioni del vertice della Dna Giovanni Melillo, per mercoledì, e del procuratore di Perugia Raffaele Cantone, per giovedì. I due magistrati due giorni fa, tramite una lettera a doppia firma, avevano chiesto di essere auditi dalla stessa commissione oltre che dal Csm e dal Copasir. Da fonti parlamentari si apprende che quest’ultimo procederà parallelamente con la bicamerale Antimafia in vista di un «possibile detrimento alla sicurezza della Repubblica», essendo coinvolto un ministro, mentre ancora non si hanno notizie dal Comitato di presidenza del Csm.

Come ha detto il senatore Enrico Borghi, capogruppo a palazzo Madama di Italia viva e componente del Copasir, «siamo in presenza della più grande fuga di dati sensibili della nostra storia repubblicana. Intervenire sulla formazione di una squadra di governo, ricercando e propagando dati su persone che erano in predicato di essere nominate nell’esecutivo, da parte di un Corpo dello Stato è al di fuori dell’ordinamento e delle garanzie. Insomma, inutile girarci attorno: è una cosa grave».

Mentre il forzista Maurizio Gasparri chiama in causa direttamente Melillo: «Quello del dossieraggio della Procura nazionale Antimafia è uno scandalo e la stessa Dna deve risponderne». Di diverso avviso il capogruppo Pd in commissione Antimafia Walter Verini: «L’immediata fissazione delle audizioni richieste dal procuratore nazionale Melillo e dal procuratore Cantone aiuteranno certamente a chiarire molti aspetti di quella inquietante vicenda, i cui contorni sono ancora oscuri. È interesse di tutti che questo avvenga». Tuttavia, aggiunge il dem, «abbiamo anche ribadito la necessità assoluta di tutelare e rafforzare ruolo e credibilità degli organi di contrasto alla criminalità organizzata, a partire dalla Procura antimafia e antiterrorismo. È da irresponsabili delegittimare, volontariamente o meno, con dichiarazioni e attacchi, i presìdi di lotta a mafie e a terrorismo e i protagonisti dell’impegno per la legalità». E va detto che proprio Melillo, da quando è in via Giulia, ha cambiato i protocolli e reso più sicuro il funzionamento dell’ufficio.

Nella commissione parlamentare Antimafia siede un predecessore di Melillo, il pentastellato Federico Cafiero de Raho: «Senza imbarazzo e lungi dall’esprimere giudizi, riteniamo», ha detto il vicepresidente della Bicamerale, Mauro D’Attis di FI, «sia opportuno che Cafiero de Raho si astenga dal partecipare alle sedute che riguardano l’inchiesta, perché all’epoca dei fatti era il Procuratore nazionale Antimafia». Punta il dito contro de Raho anche il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa: «Nessuno ai vertici della Procura Antimafia si rendeva conto di questo enorme numero di accessi alla banca dati? Oppure mancava ogni controllo? Chi può rispondere è un signore eletto alla Camera che dal suo scranno non perde occasione per chiedere conto e fare la morale a tutti».

Il leader del Carroccio Matteo Salvini ha parlato di «una vergogna di stampo sovietico», mentre il presidente dei senatori meloniani Lucio Malan attacca la sinistra: «FdI vuole che si faccia piena luce su quanto sta emergendo. Qualcuno ha cercato illegalmente dei dati che dovrebbero servire a eventuali indagini per alimentare macchine del fango e ricatti. È preoccupante che qualcuno a sinistra minimizzi o addirittura giustifichi questi metodi da regimi totalitari».