Questa volta non è soltanto una questione di gossip. Se la notizia del divorzio tra Tiziano Ferro e suo marito Victor Allen continua a rimbalzare in rete è anche perché la loro storia rimette al centro il dibattito su una fetta di diritti che in Italia sono ancora negati. E lo saranno sempre di più, soprattutto alla luce della nuova legge, già approvata alla Camera, che rende la maternità surrogata un reato universale.

«Qualche giorno fa, davanti al mio mare, di fronte al mio monte, il mio uomo e io ci siamo sposati. La cosa è molto più grande di Victor e di me. Riguarda tutti», spiegava la pop star di Latina quattro anni fa, dopo la doppia cerimonia a Los Angeles e a Sabaudia nell’estate 2019. Da allora la coppia ha sempre mantenuto alta la “soglia” della privacy, soprattutto dopo l’annuncio nel febbraio del 2022, quando in famiglia sono arrivate «due meraviglie di 9 e 4 mesi», Margherita e Andres.

Tiziano Ferro diventa papà e vuole gridarlo al mondo, ma sa di doverne parlare con discrezione. «Comprendiamo e accettiamo la curiosità che regna intorno a noi - spiegava - ma vi chiediamo di rispettare la riservatezza» dei due bimbi: saranno loro, quando e se vorranno, a raccontare la loro storia. La stessa riservatezza è stata invocata anche oggi, quando Ferro ha annunciato che il suo matrimonio è finito. Il cantante ha voluto condividere sui social la «dolorosa separazione da Victor», spiegando ai fan che dovrà rinunciare al tour di presentazione del suo primo romanzo, La felicità al principio (Mondadori), per potersi occupare dei figli negli Stati Uniti.

«È un momento delicato, in cui tutta la mia attenzione è concentrata sulla tutela dei miei due meravigliosi figli, che attualmente trascorrono la maggior parte del tempo a casa con me. In questo momento non posso lasciarli e non posso portarli con me in Italia», ha scritto il cantante nel messaggio postato su Instagram. Dal quale, senza azzardare ipotesi, è possibile trarre almeno un’evidenza: in Italia le coppie omogenitoriali e i loro figli non hanno tutele. Soprattutto se quella coppia è composta da due uomini che desiderano diventare papà: nella migliore delle ipotesi, cioè al termine di un percorso di gestazione per altri all’estero con annesso certificato di nascita del bimbo, è su di loro che grava il maggiore “sospetto”. Perché? Facciamo un po’ di ordine.

In Italia due uomini che vogliono un figlio hanno soltanto una scelta: andare via. Adottare è impossibile per una coppia omosessuale (e anche per i single), e la maternità surrogata da noi è già reato: ciò che il centrodestra ora chiede è di perseguire il cittadino italiano anche all’estero. Ma c’è di più.

Nonostante il monito della Consulta, il legislatore fino ad ora non ha trovato una risposta utile a garantire le necessarie tutele ai minori già nati e che nasceranno: a regolare la materia è la giurisprudenza. La cosiddetta stepchild adoption, l’adozione da parte del partner, è stata stralciata dalla legge sulle unioni civili del 2016, come “sacrificio” necessario per ottenerne il via libera al testo. Nel quadro attuale normalmente sono i singoli comuni ad interpretare le norme, a decidere se trascrivere gli atti di nascita formati all’estero, e se riportare sul documento i dati di entrambi genitori, quello biologico e quello “intenzionale”. Se arriva un rifiuto la coppia può ricorrere al tribunale, ma ciò che il giudice deciderà è una lotteria. Lo confermano le decisioni a macchia di leopardo di cui si ha notizia su tutto lo stivale, in uno scenario complicato lo scorso gennaio dallo stop del Viminale ai sindaci.

Il ministero ha imposto la sospensione sulla base di una sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, secondo la quale - in caso di maternità surrogata, considerata “contraria all’ordine pubblico” - il genitore di intenzione può ricorrere all’adozione in casi particolari. Un istituto regolato dalla legge numero 184 del 1983, che apre una “corsia” speciale per questi casi, ma solo se il genitore biologico presta il consenso, che a differenza dell’adozione “normale” si può revocare in seguito.

Ecco perché, se il comune si rifiuta di trascrivere il nome di entrambi i genitori sull’atto di nascita, la via è obbligata, ma anche parecchio lunga e accidentata. Che succede se il genitore biologico si ammala, o peggio, muore? Che succede se la coppia si separa? La risposta spesso è affidata alle sentenze, e può variare di volta in volta, fino a generare situazioni paradossali: come nel caso di una bambina nata in Ucraina e rimasta “apolide” fino a 4 anni, quando sulla vicenda si è espressa la Cedu. Un po’ diverso è il caso dei bimbi nati da due mamme tramite fecondazione eterologa: sul punto la giurisprudenza è abbastanza concorde, e le trascrizioni (normalmente) procedono spedite.

«Oggi, se voglio far entrare i miei figli in Italia, so che avrebbero diritto a metà del presidio genitoriale anche se ci sono due persone che possono prendersi cura di loro. Se stanno male, solo io posso andare al pronto soccorso perché Victor non risulta sul passaporto, il che è una cosa aberrante. Al di là dell’essere d’accordo o meno, della morale, di un senso di colpa costruito a tavolino, ho sempre pensato che i miei diritti non tolgono nulla a quelli degli altri. Quando poi questa cosa prende una faccia, che è quella dei tuoi bimbi, è allora che ti ferisce. Per questo non gli ho ancora fatto il passaporto italiano anche se ne hanno diritto, forse lo farò più avanti, o lo faranno loro. Tanto a farli entrare col passaporto italiano avrebbero solo svantaggi, mentre da americani son tranquillo, so che se vengo in tour Victor può prendersi cura di loro… È una cosa che può sembrare stupida, e invece mi fa soffrire da morire», spiegava  Tiziano Ferro in un’intervista a Rolling Stones del 2022. Un riassunto efficace di quanto sia complicato, se non impossibile per due uomini, diventare papà in Italia.