Ci sono giornate che nascono sotto una cattiva stella. E forse per capire fino a che punto, ieri, gli “astri” si siano mal allineati, per via Arenula, basta un dettaglio: il pur garbato rilievo mosso a un sottosegretario alla Giustizia di estrazione leghista, Andrea Ostellari, dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che è leghista pure lui. Motivo: la richiesta avanzata più volte, dal rappresentante del governo, di sospendere l’esame delle mozioni su tutela della professione giornalistica e libertà d’informazione, a causa di una confusione tra i pareri che l’Esecutivo avrebbe dovuto esprimere sugli atti dei deputati. Nelle carte, spiega Ostellari, «c’è stato un accavallamento, non so spiegarmi come: chiedo io scusa a voi perché sono io a rappresentare il governo, oggi». Di lì a poco, Ostellari si sarebbe reso conto che, dagli uffici del ministero, gli avevano consegnato una cartella con la griglia dei pareri “sballata”, per un errore materiale nelle fotocopie. Fontana, terza carica dello Stato, «pur ringraziando dell’onestà Ostellari», fa notare che «serve anche da parte del governo, e lo richiedo, maggiore attenzione e rispetto dell’Aula».

Il sottosegretario non è tipo da inscenare piagnistei. Lì per lì si limita alle scuse e a chiedere il rinvio della pratica a martedì prossimo. Ma appena lasciato Montecitorio e fatto rientro a via Arenula, non mancherà di esprimere, con gli uffici, tutto il proprio disappunto per la situazione di imbarazzo in cui si è trovato.

Ora, si potrebbe parlare di banale incidente di percorso e finirla lì. Se non fosse che sempre quella di ieri è la giornata che segnerà uno spartiacque, per il dicastero guidato da Carlo Nordio: il Capo di Gabinetto del guardasigilli, Alberto Rizzo, magistrato, un rassicurante pedigree da ex presidente di uno dei Tribunali più efficienti d’Italia, Vicenza, ha formalizzato ieri al Csm la propria richiesta di rientro in ruolo, che coincide con l’addio all’incarico ministeriale ( salvo un quasi impossibile “niet” di Palazzo dei Marescialli). Storia arcinota: per mesi, nei retroscena dei giornali, si è raccontata la difficoltà di conciliare l’autorevolezza di due figure come quelle di Rizzo e della numero due del Gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi.

Certamente, come Bartolozzi ha avuto e continuerà ad avere un peso significativo nell’attività del dicastero, così Rizzo ha avuto, tra gli altri, il merito di individuare rimedi originali al deficit di personale togato e amministrativo, come l’intesa con la giunta Zaia per l’uso, da parte della Giustizia, delle graduatorie regionali, e ha tenuto il filo dei lavori con gli emissari Ue per l’attuazione del Pnrr. La perdita, per Nordio, dunque c’è: bisognerà capire se, come sembra probabile, sarà Bartolozzi ad assumere la carica di Capo di Gabinetto e se verrà individuato un nuovo vice.

Ma gli incarichi fuori ruolo delle due figure apicali di via Arenula evocano un’altra questione, quella politicamente più delicata, per Nordio, in queste ore, a parte la tragedia dei suicidi in carcere: lo stop alla riforma del Csm. Martedì l’altro sottosegretario, Andrea Delmastro, di Fratelli d’Italia, non ha potuto che comunicare alle commissioni Giustizia di Camera e Senato il rinvio a data da destinarsi del lavoro comune per definire i pareri sui decreti attuativi della riforma. Si tratta di documenti che competono a Montecitorio e Palazzo Madama, ma sui quali si cerca di prevenire divergenze con l’Esecutivo. Lo stallo riguarda soprattutto il decreto legislativo sui magistrati fuori ruolo: a fronte della “significativa riduzione” prevista dalla legge delega di Cartabia, lo “schema” elaborato da Nordio riduce ad appena 180 l’attuale tetto massimo di 200 toghe in “distacco”. E per giunta, da via Arenula si è lasciato intendere alle Camere che sarebbe inutile formulare un parere critico sull’irrisoria sforbiciata, giacché il governo intenderebbe, in sede di emanazione definitiva, assottigliare persino, quel taglio del 10 per cento, con l’indicazione di ulteriori eccezioni legate alle immancabili esigenze del Pnrr.

Si dirà che i magistrati in servizio presso il dicastero di Nordio si sono impegnati a fondo per attirarsi ogni possibile critica ( e ieri il responsabile Giustizia di Azione, Enrico Costa, ha maramaldeggiato sulla coincidenza tra l’addio di Rizzo e la possibilità, prevista nei decreti di Nordio, di ritornare in magistratura con ruoli apicali anche dopo più di un anno fuori ruolo). Ma qui il vero retroscena, confermato con stereofonica puntualità da diverse fonti del centrodestra, è che sono molti i ministri ad aver chiesto a Nordio di «andarci piano» col taglio dei fuori ruolo, visto che tutti temono di non potersi più avvalere di magistrati oggi impiegati in posizioni di rilievo. A loro si aggiungono le toghe, praticamente inamovibili, reclutate in vari altri organi, dalla Consulta all’Ufficio studi del Csm alle stesse commissioni parlamentari. Il ritorno della riforma ai box si spiega così: con una collegiale, diffusa e certamente paradossale volontà, della politica e delle alte istituzioni in generale, di non privarsi dei magistrati fuori ruolo.

Come nelle barzellette, ci sono le notizie cattive e quelle buone. Le prime nelle ultime ore, tendono nettamente a prevalere sulle seconde. Che si riducono a due annotazioni nel calendario: in commissione Giustizia al Senato sembra vicino l’ok per avviare la settimana prossima l’esame della legge sulla nuova prescrizione, come chiesto dal capodelegazione azzurro Pierantonio Zanettin alla presidente Giulia Bongiorno, leghista. Alla commissione Giustizia della Camera è stato poi formalmente assegnato il ddl penale, firmato sempre da Nordio, con dentro abuso d’ufficio e stretta sulla sputtanopoli delle intercettazioni. Chissà se, per quando partiranno i lavori, a via Arenula sarà tornato il sereno.