Finalmente, con l’esposto presentato dal generale Mori per rivelazione di segreti d’ufficio, qualcuno spezza il clima di omertà, politica e giornalistica, che da vent’anni avvolge le inchieste penali e politiche, e siamo alla quinta, sulle stragi del 1993. Sono le bombe della fase finale di vita dei corleonesi, che aggredirono luoghi artistici di Roma, Milano e Firenze. In quest’ultima città, che ha avuto il maggior numero di morti, dieci in totale, si è radicata l’inchiesta. Che ha preso l’impronta dell’antimafia, sotto la guida del procuratore aggiunto Luca Tescaroli, che pareva aver seguito un certo fascicolo processuale fin da Caltanissetta, dopo le fallimentari inchieste “Oceano” e “Sistemi criminali” che avevano sposato un’unica pista di indagine.

Quella politica: le stragi del 1993, cui veniva aggiunta quella fallita dello stadio Olimpico del 1994, avevano una sola finalità, quella di far trionfare alle elezioni Forza Italia e il suo leader Silvio Berlusconi. Proprio lui sarebbe stato, insieme al fido scudiero Marcello Dell’Utri, l’ispiratore e l’organizzatore delle stragi. Che sarebbero cessate il giorno della vittoria elettorale, il 28 marzo 1994. Ecco perché nel pacchetto completo dell’inchiesta occorre inserire anche il mancato assalto all’Olimpico, per arrivare a dimostrare che le bombe si fermarono in quanto l’obiettivo era stato raggiunto. E poco importa il fatto che il “pentito” più credibile, Gaspare Spatuzza, come riferito dall’ex procuratore antimafia Pietro Grasso, che lo aveva interrogato e in seguito riferito in un’intervista, avesse affermato che la Cosa Nostra delle stragi si era fermata in quanto sconfitta. Proprio dagli uomini del generale Mario Mori, lo stesso che ha in seguito, e per circa vent’anni, trascorso il suo tempo nella veste di imputato. Una vendetta della storia, che alla fine, dopo tre processi e tra assoluzioni, lo ha visto inserito, un anno fa, nel teorema dell’inchiesta più surreale, quella contro Berlusconi e Dell’Utri. Quattro volta aperta e quattro volte archiviata su richiesta degli stessi pm, da Caltanissetta a Firenze. Il procuratore Tescaroli ci è invecchiato, su quei fascicoli. La prima volta aveva 27 anni. Oggi è procuratore di Prato, ma un anno fa, prima di approdare nella cittadina toscana, aveva ottenuto dal ministero e dal Csm una proroga proprio per poter continuare le indagini sulle stragi. Un’inchiesta che si alimenta da sola, come una fisarmonica che suona la propria melodia aprendosi e socchiudendosi. Ma senza terminare mai. E siamo alla quinta volta. Prima era “spuntato” ( il verbo preferito dei finti cronisti d’inchiesta) il gelataio Baiardo con la sua foto farlocca su Berlusconi, il generale Delfino e il boss Graviano. Puntate su puntate, da Massimo Giletti. Con il giornalista ripetutamente interrogato dai pm di Firenze, infine la trasmissione chiusa con anticipo e la convocazione del presidente di La7 Urbano Cairo.

Finita la stagione del gelataio e le sue fandonie, ecco che “spunta” un’ altra novità. La procura fiorentina guidata dai due Luca, Tescaroli e Turco ( quello amato da Matteo Renzi, per le indagini sui genitori e su Open) sottopone a indagini l’ex collega Ilda Boccassini per false dichiarazioni al pm, per non aver rivelato il nome della fonte del suo amico giornalista Giuseppe D’Avanzo su uno scoop del 1994. Che aveva a che fare, inutile dirlo, di nuovo con Silvio Berlusconi. Ovvio che l’inchiesta non si potesse archiviare, a quel punto, con tanta selvaggina nel carniere. Anzi, invece di chiudere si rilancia. Quando? Subito dopo il momento in cui vengono rese pubbliche le motivazioni con cui Marcello Dell’Utri, il generale Mori e gli altri imputati del processo “Trattativa” sono stati clamorosamente assolti. Quasi per una reazione pavloviana, ecco scattare l’informazione di garanzia e l’invito a comparire nei confronti dell’ex capo dei Ros e del Sisde. Mica noccioline: il generale è indagato per strage, associazione mafiosa ed eversione dell’ordine pubblico. In quanto, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva… gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni”. E qui si sfiora il ridicolo, perché le “plurime anticipazioni” sarebbero consistite, una nella segnalazione di un possibile attentato alla torre di Pisa, e l’altra nel possibile verificarsi di “attentati al nord”.

Questa è l’indagine fiorentina su Mario Mori. Ma ci sono due aspetti molto seri, che non vanno trascurati. Il primo è che questi nuovo filone consente all’inchiesta più surreale che sia mai apparsa sullo scenario delle indagini su teorema, di non chiudersi mai. Il secondo è che la gravità delle accuse comporta la possibilità di intercettare, quindi di tenere un faro acceso sui comportamenti quotidiani di colui che, come ha detto lui stesso, non ha avuto la colpa di farsi ammazzare come Falcone e Borsellino, oppure, aggiungiamo noi, di togliere il disturbo come Silvio Berlusconi. Si arriva così al consueto gioco di specchi dell’ antimafia militante. Ti indago, ti intercetto, poi qualcuno passa e intercettazioni a qualche trasmissione o quotidiani, sempre gi stessi, che le pubblicano. Il che consente al mondo politico in salsa grillina, ovunque collocato, nei Cinque stelle o Avs o Pd, di presentare interrogazioni, fare casino nella Commissione Antimafia, sollevare polveroni. E mantenere ancora aperta, per la quinta volta, l’inchiesta di Firenze. Ma forse quel mondo militante ha sottovalutato il fatto che un vertice dell’Arma può avere più frecce al proprio arco rispetto a un imprenditore brianzolo, per quanto di grande successo, come è stato Silvio Berlusconi. Così questo esposto, la cui copia è stata inviata anche al ministro Nordio, al Csm e al procurare generale presso la Cassazione, può essere davvero il sassolino nell’ingranaggio del gioco di specchi e rompere il meccanismo, e chiudere i conti con i teoremi una volta per tutte.