La riforma della giustizia sembra nuovamente al centro del dibattito politico. In via di principio, questa è certamente una buona notizia, perché la nostra giustizia ha bisogno di attenzione e di una visione prospettica che consenta riforme alte e durature. Purtroppo, però, il riavviato dibattito sulle necessarie modifiche in materia ha nuovamente acceso quella contrapposizione tra politica e magistratura che evidentemente covava sotto le ceneri. Eppure, noi non abbiamo bisogno di contrapposizioni che, piuttosto che migliorare il sistema, finiscono per tendere a perpetuare stancamente lo status quo. Abbiamo bisogno di corpi dialoganti, di teste pensanti, di visioni lungimiranti.

Cercare o alimentare lo scontro non serve. Anzi, il rischio è che, tesi a confrontarsi quasi militarmente, i contrapposti orientamenti finiscano per dar vita ad una sorta di guerra di posizione. E, com’è noto, le guerre di posizione durano a lungo. Il tempo di una legislatura non è sufficiente, spesso, a vederne la fine.

Per comprendere quanto le riforme siano necessarie, basterebbe richiamare le forti parole del Presidente Mattarella nel discorso tenuto in occasione del suo secondo insediamento, nel quale – tra l’altro – ha invocato un «profondo processo riformatore», ha sottolineato le «pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini», ha ammonito che «indipendenza e autonomia sono princìpi preziosi e basilari della Costituzione ma il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza». Perché la giustizia deve essere amministrata «in nome del popolo» (art. 101 Cost.) ed «i cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario».

Il Capo dello Stato, che è anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ha dunque invitato il Parlamento a fare tutto quanto fosse necessario per modificare la nostra giustizia e, nel farlo, ha chiamato tutte le componenti del mondo giudiziario a partecipare al processo riformatore. Il cuore dell’intervento del Presidente, del tutto condivisibile, è consistito nel porre al centro della necessaria riforma i cittadini, i quali devono poter contare su una giustizia seria, prevedibile ed affidabile.

Perché nella lotta tra politica e magistratura a perdere è certamente il Paese nel suo insieme e soprattutto quei cittadini in nome e per conto dei quali il Presidente Mattarella ha fatto risuonare il Suo alto monito.

Spero fortemente che le forze politiche tutte, sia di maggioranza che di opposizione, e tutte le diverse anime della magistratura associata, come anche l’avvocatura, comprendano che la nostra Nazione non si può permettere una nuova stagione di contrapposizioni muscolari. È tempo che la guerra dei trent’anni tra politica e magistratura – tanto più in un tempo nel quale la parola “pace” ha assunto coloriture e ragioni drammaticamente attuali – finalmente termini. Perché, al di là dei più o meno nobili interessi di parte o di bottega, occorre perseguire l’interesse superiore di una giustizia nella quale i cittadini possano nuovamente riconoscersi.

Da parte mia, spero che sia finito il tempo delle rivoluzioni a parole e che alla facile azione distruttiva subentri la molto più complessa e delicata fase ricostruttiva. Solo così ministri, forze parlamentari, avvocatura, magistratura, e persino componenti il Consiglio Superiore della Magistratura daranno un senso significativo al loro ruolo ed al loro passaggio, a vario titolo, nelle stanze del potere. I prossimi mesi e i prossimi anni ci diranno se saremo riusciti – tutti insieme – ad accogliere le sagge e illuminanti indicazioni del Presidente Mattarella e a migliorare la nostra giustizia.

L’occasione storica offertaci dal Pnrr e l’ormai diffusa consapevolezza della crisi della nostra giustizia dovrebbero farci concludere che il tempo delle riforme è ora.