«È un fardello di dolore». Cosi Carlo Nordio parla dei suicidi in carcere. Lo fa in aula alla Camera, dove risponde a diverse interrogazioni. Nessuna lo interpella direttamente sul caso di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto a Sassari in regime di 41 bis e da quasi tre mesi (81 giorni per la precisione) in sciopero della fame. Ma è chiaro che fra i pensieri del guardasigilli, la vicenda del recluso nel carcere sardo ha un posto non marginale. Non lo hanno lasciato indifferente le parole dell’appello promosso da giuristi e intellettuali che segnalano al governo, e a lui, il guardasigilli, innanzitutto, «l’urgenza» del momento: «Salvare una vita e non rendersi corresponsabili, anche con il silenzio, di una morte evitabile». Non è sembrato insignificante, a Nordio, quello snodo del documento − che reca, tra le altre, la firme di figure del peso di Giovanni Maria Flick, Gherardo Colombo, Luigi Ferrajoli e Gian Domenico Caiazza − secondo cui la rinuncia di Cospito al cibo configura «un lento suicidio (che si aggiunge agli 83 suicidi “istantanei” intervenuti nelle nostre prigioni nel 2022), un’agonia che si sviluppa giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, un’autodistruzione consapevole e meditata, una pietra tombale sulla speranza». Ecco, di aggiungerne un altro, di suicidio, il responsabile della Giustizia non ha alcuna intenzione. E così si spiega la nota con cui ieri sera, Nordio ha spiegato di seguire «con la massima attenzione» il caso dell’anarchico al 41 bis nel carcere di Bancali, di aver approntato un costante monitoraggio sulle «condizioni di salute» di Cospito, e di garantire, attraverso il Dap, «ogni eventuale assistenza sanitaria». Nordio però nella nota di ieri chiarisce anche un’altra cosa: finora non è arrivata alcuna richiesta di revoca del 41 bis, regime a cui Cospito è sottoposto e contro il quale ha scelto lo sciopero della fame come forma non violenta di protesta. Non sono arrivate, finora, a via Arenula, istanze di revoca del “carcere duro”, né da parte del detenuto né dall’autorità giudiziaria. Non ha ritenuto finora di poter sollecitare una modifica del regime detentivo quel Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo scorso 19 dicembre ha già respinto un ricorso giurisdizionale presentato dal legale di Cospito, e ora pendente in Cassazione. E a via Arenula si osserva come una iniziativa giudiziaria di segno diverso rispetto al diniego del mese scorso non sia impensabile, ma certo dovrebbe basarsi su “fatti nuovi”. Cioè su un venir meno delle asserite condizioni di “pericolosità” di Cospito.

Finora, secondo i magistrati (non solo di Roma, ma anche della Dda di Torino e della Direzione nazionale Antimafia e antiterrorismo) resta evidentemente il rischio che l’anarchico, se sottratto al 41 bis, possa riprendere a “sobillare” con i suoi appelli frange anarchiche non solo italiane.

Tutto per dire che, dal punto di vista del governo, e del ministero della Giustizia, la soluzione per sottrarre Cospito al “carcere duro”, e favorire un ripensamento dell’anarchico rispetto allo sciopero della fame, esiste ma non può che passare per una diversa valutazione della magistratura. Non necessariamente su una “cessata pericolosità” del recluso: non è un caso che nella nota di ieri Nordio abbia ricordato come al Tribunale di Sorveglianza sia possibile anche «disporre una sospensione della pena», a fronte di un «aggravamento delle condizioni di salute». E una cosa è certa: Cospito ha perso 35 chili e il potassio, essenziale per il funzionamento del cuore, è già sotto i livelli di guardia. Ecco, un provvedimento di “differimento pena per ragioni di salute” sembra, in questo momento, la prospettiva più realistica per scongiurare un esito tragico della vicenda.

È una ipotesi realistica e anche politicamente sostenibile. Perché certo, nel governo e nella maggioranza nessuno si entusiasma all’idea che Cospito muoia al “carcere duro”, Si rischierebbe un effetto negativo, forse inedito, rispetto al consenso per il regime speciale. Si tratta di un punto di caduta che non piace a nessuno, inclusi i partiti della maggioranza, Fratelli d’Italia e Lega, che hanno un approccio più intransigente sull’esecuzione penale. Ma appunto, sembra che tra il ministro e la maggioranza il punto di equilibrio condiviso consista in una via d’uscita che dev’essere individuata e assicurata da un atto della magistratura. Così com’erano stati i magistrati a documentare, con i loro pareri (sempre dalla Dda di Torino e dalla Dna) la necessità di 41 bis, poi effettivamente decretato, a maggio 2022, dalla precedente guardasigilli, Marta Cartabia.

Uno stop al 41 bis ordinato per ragioni di salute dalle toghe: anche politicamente è la sintesi possibile. Ed è la possibile soluzione a quel “suicidio lento” che, se si consumasse davvero, produrrebbe conseguenze pesantissime.