Poteva arrivare subito, la stretta sui trojan. E avrebbe avuto un senso in ogni caso diverso dall’interpretazione polemica che i 5 Stelle prima e il leader verde Angelo Bonelli poi hanno dato dell’analogo ordine del giorno di Enrico Costa.

Il quale aveva pronto un vero e proprio emendamento al ddl Cybersicurezza. Il governo, nel caso specifico il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, ha chiesto al deputato e responsabile Giustizia di Azione di soprassedere, e di tramutare appunto in ordine del giorno la proposta di modifica relativa ai virus spia. Costa e il suo partito hanno ottenuto così, martedì alla Camera, la convergenza dell’intera maggioranza di centrodestra, oltre che di Italia viva, sull’impegno, formalmente accolto dal governo, a “prevedere l’introduzione, nel primo provvedimento utile, di una disciplina organica del captatore informatico che rifletta il miglior bilanciamento tra le esigenze investigative e i principi di cui agli articoli 14 e 15 della Costituzione”.

La formulazione è “alta”. Ma stavolta non c’è alcuna impigrita volontà di rimozione, dietro la richiesta dell’Esecutivo, recepita da Costa, di rinunciare a un’immediata modifica normativa. Mantovano ha spiegato a Costa di tenere a che la cybersicurezza non diventasse materia divisiva: e in effetti mercoledì il ddl è stato approvato in prima lettura a Montecitorio col solo voto contrario di Avs: Azione, Italia viva, Pd e M5S si sono astenuti. Ma nello stesso tempo, al ministero della Giustizia l’ufficio legislativo è davvero all’opera, e già da un po’, su una proposta di modifica delle norme in materia di intercettazioni: l’obiettivo è appunto limitare il ricorso ai potentissimi virus-spia, utilizzati anche in indagini per reati di corruzione a bassissimo tasso di offensività.

«Credo che l’Esecutivo abbia le idee chiare, siamo d’accordo sull’obiettivo», spiega Costa, ancora una volta promotore di una svolta garantista, come già avvenuto, con successo, in materia di presunzione d’innocenza (nella scorsa legislatura) e divieto di pubblicazione letterale delle ordinanze cautelari (poche settimane fa). «Il punto è che l’uso investigativo dei trojan è stato troppo semplicisticamente assimilato alle intercettazioni ambientali», fa notare il parlamentare di Azione. «L’unico limite è il divieto di attivare il virus-spia in luogo di privata dimora qualora non vi sia il “fondato motivo che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”.

Ma mentre le microspie ambientali sono posizionate in luoghi ben noti all’investigatore, il trojan, che si attiva segretamente da remoto sul cellulare, segue in tutti i suoi possibili movimenti l’indagato, ed è irragionevole pensare che gli agenti di polizia giudiziaria possano comprendere quando la persona accusata si trova effettivamente nel luogo di privata dimora in modo da spegnere, a quel punto, il virus spia. Ecco perché, al di fuori dei reati di mafia e terrorismo, lo strumento va sottoposto a limiti operativi più stringenti, in sintonia con la sentenza “Scurato” emessa dalla Cassazione a sezioni unite nel 2016».

Sarà assai simile la logica a cui Nordio si ispirerà nel proporre la modifica sui trojan. Che potrebbe consistere non in un ddl ma in un emendamento da inserire in un testo affine per materia, come la legge sul sequestro dei cellulari, già approvata in Senato. L’Esecutivo sembra voler fermare insomma lo scempio a cui da anni le norme sulle intercettazioni sottopongono gli articoli 14 e 15 della Costituzione, cioè l’inviolabilità del domicilio e il diritto alla segretezza delle comunicazioni.