Maysoon Majidi e Marjan Jamali, rispettivamente di 28 e 29 anni, hanno già pagato un prezzo altissimo per sfuggire all'oppressione del regime iraniano, dove si sta compiendo, per dirla come Amnesty, una strage di Stato sotto la veste di esecuzioni giudiziarie. Ora si ritrovano recluse nelle carceri calabresi, vittime di un sistema giudiziario che sembra non voler fare luce sulla loro reale situazione. Entrambe le donne manifestano segni evidenti di sofferenza: Marjan sta perdendo peso in maniera preoccupante, mentre Maysoon ha compiuto gesti di autolesionismo. Le loro condizioni sono state denunciate dal Garante regionale dei detenuti, Luca Muglia, che sta seguendo da vicino il caso.

L'accusa mossa contro le due iraniane è quella di ' favoreggiamento dell'immigrazione clandestina', basata su fragili testimonianze raccolte tra i migranti che viaggiavano con loro nell'ultimo tratto del viaggio. Questi testimoni, interrogati frettolosamente all'arrivo in Italia e poi scomparsi nel nulla, non offrono prove concrete a sostegno delle accuse. Anzi, nel caso di Marjan, l'unica testimonianza a suo carico riguarda la semplice distribuzione di cibo e acqua agli altri migranti durante il tragitto. Maysoon, invece, ha denunciato di essere stata vittima di un tentativo di violenza da parte di alcuni degli stessi uomini che poi l'hanno accusata.

Le loro storie sono purtroppo comuni a tante altre di profughi che, dopo aver rischiato la vita per sfuggire a persecuzioni e violenze, si ritrovano ingiustamente accusati e detenuti nei paesi di approdo. A farvi visita nei giorni scorsi è stato il garante Luca Muglia, il quale sta approfondendo la posizione e le condizioni delle due donne iraniane recluse presso le carceri calabresi. Nei mesi scorsi i nominativi delle due detenute erano stati resi noti da diversi media, atteso il clamore destato dalle rispettive storie personali e dalle modalità che avevano determinato l’applicazione della misura cautelare inframuraria.

Il Garante calabrese Muglia ha incontrato più volte Maysoon Majidi, unitamente al Garante della Provincia di Cosenza Francesco Cosentini, riscontrando un suo progressivo calo di peso, fortemente provata dalla detenzione e dal timore che non emerga in tempi rapidi l’estraneità alle accuse. Quanto a Qaderi Maryam, le sue condizioni sono state attenzionate dal Garante nazionale dei detenuti, Felice Maurizio D’Ettore, in quanto la separazione dal figlio di anni 8, affidato temporaneamente alle cure di una famiglia afghana in Comunità, avrebbe generato una serie di atti di autolesionismo ed eventi critici.

Il Garante Luca Muglia, ha espresso la propria posizione con fermezza: «La vicenda di queste due donne è profondamente preoccupante e richiede un'attenta valutazione, sia dal punto di vista umanitario che giuridico. Il mio Ufficio e quello del Garante nazionale ci siamo attivati sinergicamente per garantire loro il supporto necessario e per fare luce sulle accuse che le gravano». Muglia sottolinea le incongruenze delle accuse e le storie drammatiche delle due donne: «Entrambe hanno vissuto esperienze terribili nel loro paese d'origine e sono fuggite rischiando la vita. Maysoon Majidi, nota regista e attivista curda per i diritti umani, è stata costretta a scappare dall'Iran e dal Kurdistan iracheno a causa delle sue attività di protesta antigovernative. Qaderi Maryam, invece, è fuggita con il figlio dall'Iran per sottrarsi a una situazione drammatica e ha subito un tentativo di violenza sessuale durante il viaggio in Italia».

Il Garante evidenzia le difficoltà investigative e la necessità di un approccio più rigoroso: «Le accuse contro le due donne si basano su testimonianze di altri migranti che si sono poi allontanati dall'Italia, rendendo impossibile un contraddittorio. È necessario un metodo investigativo più accurato che si avvalga di nuclei specializzati, tecnologie avanzate e una cristallizzazione immediata delle prove. Non possiamo correre il rischio di scambiare le vittime per carnefici». L'appello di Muglia è chiaro: «Chiediamo che la repressione del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina venga attuata con maggiore rigore e puntualità, garantendo il diritto di difesa e tutelando gli innocenti. Non possiamo permettere che storie come queste si ripetano».

Un testimone chiave nel processo contro Majidi, attualmente rifugiato in Germania, era atteso ieri in tribunale in Calabria per scagionare l'imputata. Tuttavia, l'udienza per l'acquisizione anticipata della prova è stata rinviata perché il testimone, Hosenzadi, non è stato rintracciato dalla Guardia di Finanza italiana. Eppure, al termine dell'incidente probatorio, conclusosi senza esito, l'avvocato Giancarlo Liberati ha dimostrato che il testimone, poco prima dichiarato irreperibile, era in realtà raggiungibile telefonicamente. Non si comprende come sia possibile che gli investigatori non siano riusciti a trovarlo. La testimonianza di Hosenzad è decisiva perché l'uomo ha confermato all'avvocato di non aver mai accusato Majidi.