«Se i fatti fossero questi Siri si deve dimettere». Luigi Di Maio non ha dubbi, fin dalle prime ore del mattino, quando sul governo del cambiamento deflagra un ordigno pericolosissimo: il sottosegretario leghista ai Trasporti, Armando Siri, è indagato dalla Procura di Roma. Secondo gli inquirenti avrebbe presentato alcuni emendamenti sulle energie rinnovabili in cambio della promessa di una tangente da 30 mila euro. Nell’inchiesta, nata dalla procura di Palermo e dalla Dia di Trapani, si intrecciano anche i destini di persone considerate vicine a Cosa nostra, vicine, nientepopodimeno che al super latitante Matteo Messina Denaro.

Il diretto interessato respinge «categoricamente le accuse», ma per un movimento cresciuto con le massime casaleggiane («al primo dubbio, nessun dubbio», amava ripetere il fondatore), il boccone rimane troppo amaro da digerire. Da inizio legislatura, i pentastellati hanno già smorzato parecchio la propria intransigenza giudiziaria, in nome di una più alta ragion di Stato, adesso l’imbarazzo si può toccare con le dita. E senza pensarci due volte, Danilo Toninelli, titolare del dicastero dei Trasporti, in qualche modo diretto superiore di Siri, dispone il ritiro delle deleghe al sottosegretario, «in attesa che la vicenda giudiziaria assuma contorni di maggiore chiarezza».

La pazienza dei grillini è messa dura prova e Di Maio prova a tenere uniti i suoi: «Va bene aspettare il terzo grado di giudizio ma c’è una questione morale e se c’è un sottosegretario coinvolto in un’indagine così grave, non è più una questione tecnico- giuridica ma morale e politica», dice il capo politico, convinto di poter giocare di sponda con l’alleato su un tema così delicato. «Non so se Salvini concorda con questa mia linea intransigente ma il mio dovere è tutelare il governo. Credo che anche a Salvini convenga tutelare l’immagine e la reputazione della Lega», aggiunge Di Maio. Ma il capo del Carroccio non si muove affatto sulla stessa lunghezza d’onda del socio di maggioranza, e da San Ferdinando ribatte: «Per quello che mi riguarda Siri può tranquillamente rimanere lì a fare il suo lavoro e dico agli amici dei 5 Stelle che non si è dimessa la Raggi che è stata indagata per due anni e quindi in Italia si è colpevoli se si viene condannati», dice piccato Salvini, puntando l’indice contro il gantismo a intermittenza dei 5 Stelle. Del resto, per il ministro dell’Interno, chiedere un passo indietro al sottosegretario ai Trasporti equivarrebbe a rinnegare se stesso.

Più che un leghista, infatti, Armando Siri è considerato un salviniano doc, diretta emanazione del capo. I due iniziano a frequentarsi nel 2012, prima della conquista di Via Bellerio da parte del giovane Matteo, entrambi interessati allo studio della flat tax. Due anni dopo, nel 2014, con Salvini alla guida della Lega, la collaborazione diventa ufficiale. Siri diventa uno degli uomini più fidati del leader, il responsabile di tutto il progetto flat tax, che qualche anno più tardi contribuirà al trionfo elettorale del Carroccio. Nel maggio 2015 il sottosegretario viene nominato responsabile economico di “Noi con Salvini”, il cavallo di Troia costruito per sbarcare al Sud. Ed è nell’ufficio di Siri che il titolare del Viminale incontra in gran segreto Steve Bannon, l’ 8 marzo 2018.

La figura non è di certo di secondo piano nell’organigramma leghista e del governo. Tanto che anche il premier Giuseppe Conte è costretto a intervenire: «Non esprimo una valutazione ma come premier avverto il dovere di parlare col diretto interessato, chiederò a lui chiarimenti e all’esito di questo confronto valuteremo», dice il presidente del Consiglio, ricordando che il «contratto prevede che non possono svolgere incarichi ministri e sottosegretari sotto processo per reati gravi come la corruzione». Lo stato maggiore grillino è in allarme. Dal sottosegretario si dissociano tutti i big: da Paola Taverna a Nicola Morra, passando per Roberta Lombardi. E per l’occasione rompe il silenzio persino Alessandro Di Battista, con un post su Facebook inequivocabile. «Ho sempre sostenuto questo governo, lo sosterrò ancor di più se il sottosegretario Siri si dimetterà il prima possibile», scrive il leader scapigliato del M5S. «Il sottosegretario Siri lavora nel ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il ministero più delicato che c’è per via dei lavori e degli appalti che segue. È evidente che debba dimettersi all’istante perché, come diceva Borsellino, “i politici non devono soltanto essere onesti, devono apparire onesti”».