Una traversata nel deserto, se si amano le metafore magniloquenti, o un tour de force, se si vuole rimanere sul prosaico. Come la si vuole mettere, resta il fatto che la riforma dell'ordinamento giudiziario, quando la campagna elettorale per le Europee sarà terminata e ogni forza politica sarà contenta per aver sventolato la propria bandiera, avrà di fronte a sé un percorso a dir poco arduo. Che dovrà tenere conto in primis del fatto che si tratta di un ddl costituzionale (quindi soggetto a doppia lettura a una tempistica particolare dettata dalla Carta), poi di quello che in Parlamento è già partito il percorso, altrettanto lungo e accidentato, del ddl Casellati sull'elezione diretta del presidente del Consiglio, sulla cui priorità la premier Giorgia Meloni non ha mai lasciato dubbi, ribattezzandola «madre di tutte le riforme».

In ogni caso, proviamo a simulare quale potrà essere lo scenario, per i prossimi mesi, attraverso cui il ddl Nordio potrà cercare il proprio sentiero verso l'approvazione. E anche in questo caso, con ogni probabilità, al netto del probabilissimo referendum confermativo. Intanto appare sicuro che l'iter partirà da Montecitorio, visto che il Senato è attualmente impegnato (non senza tumulti) nell'esame del premierato, e risulta abbastanza ovvio che i due ddl costituzionali non potranno mai condividere la stessa camera ma “incrociarsi” di continuo.

Poi c'è la Commissione di assegnazione, e anche su questa non ci sono dubbi, poiché trattandosi di una legge costituzionale dovrà essere esaminata dalla Prima commissione, la Affari costituzionali. Dove, peraltro, era già in una fase avanzata l'esame delle proposte di legge di iniziativa parlamentare sullo stesso tema che i deputati avevano già presentato. La Commissione aveva completato già lo scorso gennaio un ciclo di audizioni inerenti alle quattro pdl che erano state prese in considerazione (quella dell'azzurro Tommaso Calderone, del calendiano Enrico Costa, del renziano Roberto Giachetti e del leghista Jacopo Morrone), che a sua volta era durato un anno esatto.

Al termine delle audizioni, il presidente della Commissione Nazario Pagano aveva avviato la discussione generale, giunta anch'essa al termine, per cui si era arrivati alla fase della scelta del testo base (quello di Calderone) e alla fissazione del termine per la presentazione degli emendamenti. È a questo punto che da via Arenula è arrivata la rassicurazione sulla imminente messa a punto del testo governativo della riforma e la richiesta di una sospensione dell'iter.

La prima incognita da sciogliere sarà quella delle audizioni: saranno ritenute valide quelle già fatte, o trattandosi di un testo che contiene norme aggiuntive rispetto a quelli parlamentari (come ad esempio l'introduzione dell'Alta Corte per i provvedimenti disciplinari) occorrerà ricominciare da capo? A decidere sarà il presidente Pagano, coadiuvato dall'Ufficio di presidenza, ma tutto congiura a favore di un reset, perché sarebbe singolare se la Commissione, ora, non adottasse come testo base quello del governo e non decidesse di ascoltare i soggetti interessati anche su questioni nuove come l'Alta Corte o il sorteggio del Csm.

Certo, bisognerà procedere con una sollecitudine maggiore del ciclo precedente, se non si vuole azzoppare il provvedimento in partenza. Fatte le audizioni, occorrerà fissare un nuovo termine per gli emendamenti, che ragionevolmente non potrà essere un termine-lampo, data la rilevanza del testo. Questo, presumibilmente, presterà il fianco alle tattiche ostruzionistiche dell'opposizione (in primis del M5s) consistenti nella presentazione di un numero abnorme di proposte di correzione e nel moltiplicare gli interventi per illustrarle, sia in Commissione sia in aula.

Seguendo una possibile road map dei più ottimisti, calcolando audizioni rapide e tempi serrati in Commissione, il testo potrebbe ricevere il suo primo via libera a Montecitorio al rientro dalla pausa estiva, approssimativamente verso ottobre. Dopodiché, al Senato sarebbe oggetto di un esame altrettanto approfondito, data anche la rilevanza di alcuni presidenti di Commissione come Alberto Balboni di FdI e Giulia Bongiorno della Lega. Difficile pensare che a Palazzo Madama possa essere approvato entro la fine di quest'anno, dato che nelle ultime settimane del 2024 ci sarà la sessione di bilancio a monopolizzare i lavori. Sempre sull'onda dell'ottimismo, si può ipotizzare il compimento della prima lettura dopo la pausa natalizia, quindi a inizio 2025. Poi, la legge prevede che per un ddl costituzionale debbano passare almeno tre mesi prima che parta la seconda lettura, che per fare del provvedimento legge definitiva dovrebbe ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi delle Camere (impossibile coi numeri attuali). Quindi, approssimativamente verso l'inizio del 2026 si può pensare al compimento della seconda lettura, tenendo sempre in considerazione la sessione di bilancio del 2025.

In media, tra l'approvazione di una legge costituzionale e il referendum confermativo passa un anno, il che ci porta alla primavera del 2027, con una serie di leggi attuative da emanare entro un ulteriore anno. Elemento importante: sempre nel 2027 è previsto il rinnovo del Csm, che probabilmente arriverà prima dell'entrata in vigore della riforma, la quale, dunque, avrebbe impatto sul Csm successivo, eletto nel 2031. Uno scenario, questo, che parte dal presupposto - altamente improbabile - che il testo uscito mercoledì scorso dal Consiglio dei ministri non subisca modifiche.

I legislatori si stanno già dividendo tra ottimisti e pessimisti. Certo, con un iter così complesso, appare favorito il compito di chi vuole affossare la riforma. Nonostante ciò, il capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia, Tommaso Calderone si pone senza esitazioni nella schiera degli ottimisti: «Non credo si perderà tempo, il governo ha dimostrato senza equivoci di rispettare gli impegni, e io non sono assolutamente preoccupato. Se c'è la volontà politica, le audizioni si possono fare in due settimane, Fi sarà sentinella vigile sui tempi, perché questa ricorda s'ha da fare. Non è una riforma per una persona, ma per il cittadino, chi fa il mio mestiere, cioè l'avvocato, sa che il giudice ora non è mai terzo». Più scettico Enrico Costa: «Se anche si arrivasse fino in fondo», osserva, «dubito che il referendum si farà entro questa legislatura, e penso che questo testo sarà modificato. Per una riforma che nella migliore delle ipotesi farà vedere i suoi effetti negli anni 30, Salvini ha detto “promessa mantenuta”, e questo fa capire di quanto sia totale propaganda».