Nessuna corruzione, nessuna sfilata di testi pronti a raccontare nuove verità, nessuna nuova bomba pronta da lanciare sul mondo della magistratura. Dopo gli scandali e dopo aver provocato un vero e proprio terremoto all’interno del Csm, il Palamaragate si chiude con un patteggiamento a un anno e un’assoluzione. I giudici del Tribunale di Perugia hanno infatti accolto la richiesta dell'ex magistrato Luca Palamara, assolvendo la coimputata Adele Attisani, che aveva scelto di essere giudicata con rito abbreviato.

La procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, ad aprile aveva riqualificato l'accusa da corruzione a traffico di influenze illecite e i pm Mario Formisano e Gemma Miliani, dopo l'ok della procura al patteggiamento per Palamara, avevano sollecitato per la presunta complice l'assoluzione per «non aver commesso il fatto». Il processo che vedeva imputati Attisani, difesa dagli avvocati Cesare Placanica e Luca Rampioni, e Palamara, difeso da Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, si era aperto il 15 novembre del 2021 dopo che il gup di Perugia Piercarlo Frabotta aveva disposto il rinvio a giudizio nel filone principale dell'inchiesta perugina, accogliendo la richiesta di patteggiamento a un anno a sei mesi per l'imprenditore Fabrizio Centofanti, che aveva reso dichiarazioni spontanee.

La derubricazione del reato ha lasciato aperti molti interrogativi. Se, da un lato, come sostenuto da Cantone, il traffico di influenze illecite, pure meno grave della corruzione, rientra comunque nel novero dei reati contro la pubblica amministrazione e lascia immutato «il quadro delle acquisizioni investigative compiuti negli anni dall'ufficio», dall’altro viene da chiedersi se fosse evitabile l’utilizzo del trojan, che ha consentito di svelare il “sistema” che pilotava le nomine della magistratura e le trattative interne alle correnti, raccontando al mondo la famigerata sera dell’Hotel Champagne. Lo stesso trojan che ha fatto finire sulla graticola decine di magistrati, tutti colpevoli di aver chiesto favori all’ex zar delle nomine e finiti (a volte) davanti alla Commissione disciplinare del Csm per rispondere delle loro chiacchiere con Palamara, terremotando l’intera magistratura e capovolgendo gli equilibri di potere a Palazzo dei Marescialli.

La domanda sorge spontanea a fronte delle numerose modifiche del capo di imputazione in questo lungo e travagliato caso giudiziario: con quello di aprile scorso, sono sei gli aggiustamenti fatti in corso d’opera, a partire dalla prima ipotesi dei 40mila euro intascati per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore della Repubblica di Gela o per danneggiare il pm Marco Bisogni nell’ambito del procedimento disciplinare che lo vedeva coinvolto, ipotesi scartate dalla procura alla chiusura delle indagini. Successivamente all’ex pm vennero contestati i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e corruzione in atti giudiziari, ipotesi a loro volta “corrette” poco dopo, con il rinvio a giudizio, quando venne contestata la corruzione in concorso per l’esercizio delle funzioni.

Insomma, uno sgonfiamento continuo delle accuse, fino all’epilogo. Che ha anche cassato ogni possibilità di far emergere nuovi particolari sul mercato delle nomine e sulle zone d’ombra del mondo della magistratura, dato l’alto numero di testimoni previsti, molti dei quali pronti a levarsi non pochi sassolini dalle scarpe.

«Ho deciso di liberarmi dal peso dei processi senza l’ammissione di alcuna forma di mia responsabilità ma perché ritengo ci debba essere un momento in cui occorre guardare al futuro per trovare serenità e per superare una fase non certo lusinghiera del nostro sistema giudiziario - ha commentato Palamara al termine dell’udienza -. Quattro anni dopo si chiude un capitolo che ha visto contrapposizioni anche aspre accedendo ai riti alternativi previsti dalla legge Cartabia per una ipotesi di reato diversa e sicuramente meno grave, grazie al rigore e all’equilibrio del procuratore Cantone».

Soddisfatti anche i legali di Attisani. «Meritava l'assoluzione. Fa piacere che la stessa procura, con grande onestà intellettuale, abbia riconosciuto la sua totale estraneità ai fatti - ha commentato all’AdnKronos Placanica -. Ora si spera che il malcostume sociale, che identifica un delinquente in ogni indagato, prenda atto della decisione dei giudici. L'unica che conta».