Due Csm separati, effettiva terzietà del giudice rispetto ad accusa e difesa ed obbligo di azione penale solo nei casi previsti dalla legge entro il 2025. Si possono riassumere così le proposte di legge sulla separazione delle carriere presentate alla Camera da Enrico Costa (Azione), assieme ai colleghi Roberto Giachetti (Italia Viva), Jacopo Morrone (Lega), Erika Stefani (Lega), Tommaso Calderone (Forza Italia) e Nazario Pagano (Forza Italia). Testi che riprendono la proposta di iniziativa popolare presentata in passato dall’Unione Camere penali, rappresentata alla Camera dal presidente Gian Domenico Caiazza e dal suo predecessore Beniamino Migliucci, presidente del comitato promotore che aveva portato a casa 70mila firme a sostegno della modifica legislativa.

Una riforma per la quale i tempi sono ormai maturi - questa la convinzione di tutti i presenti -, dato il consenso trasversale suscitato dalla proposta. Anche se non è passata inosservata l’assenza del principale partito di governo, Fratelli d’Italia, che pure nel suo programma aveva inserito la separazione delle carriere tra le priorità della giustizia. Ciò, forse, perché una norma del genere, tra le più avversate dalla magistratura, porterebbe inevitabilmente ad uno scontro con le toghe, ovvero ciò che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni tenta di evitare il più possibile in questo momento. Proprio per questo la conferenza stampa ha anche un altro senso: non solo quello di illustrare una proposta mai come prima, secondo i deputati, avvertita come urgente dall’opinione pubblica, ma anche per «per far uscire allo scoperto Fratelli d’Italia - spiega Costa al Dubbio -, visto che nel loro programma c’è la separazione delle carriere. Meloni ha scelto Nordio come ministro, però poi sembrano avere un po’ il freno a mano tirato sulla giustizia. Io credo che FdI sia d’accordo, ma in ogni caso ci sono altre forze parlamentari che sembrano intenzionate ad andare fino in fondo in questo percorso».

A confermare gli intenti dei meloniani è Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia alla Camera. «Ci confronteremo e sosterremo le proposte integrandole con le nostre - ha chiarito al Dubbio -. Va bene ogni iniziativa che va verso la separazione delle carriere, tema che è nel nostro programma di Governo. Fdi non ha ancora presentato una proposta “copia e incolla” identica alle altre su separazione carriere perché stiamo lavorando anche ad una pdl che possa modificare le parti della procedura penale che dovranno adeguarsi alla riforma costituzionale. Ovvio che le due proposte potrebbero avere iter paralleli, ma necessariamente andrebbero coordinate, anche perché la prima per essere applicata concretamente necessita della seconda».

La separazione delle carriere, nell’ottica di Costa, «non è un fine ma un mezzo. Si tratta di un obiettivo la cui realizzazione non è più prorogabile perché è previsto nella nostra Costituzione ed è quello proclamato dall’articolo 111, il quale impone che il giudice sia non solo imparziale ma anche terzo. E terzietà non può che significare appartenenza del giudice a un ordine diverso da quello del pubblico ministero». Dunque due ordini diversi e due organi di autogoverno distinti. Uno - quello dei pm - guidato dal pg di Cassazione, l’altro - quello dei giudici - guidato dal primo presidente della Suprema Corte. E a chi obietta che i passaggi da una funzione all’altra oggi sono solo 22 l’anno la risposta arriva da Caiazza: «Sono due questioni diverse - ha sottolineato -, l’obiettivo è separare i due percorsi» e garantire che il processo smetta di avere al centro il pm, ma metta al centro il giudice. Insomma, un colpo di spugna ai processi mediatici, basati solo sulle accuse delle procure, che nulla ha a che vedere con quella guerra alle toghe più volte evocata dai nemici di questa riforma. L’intento, ha spiegato Migliucci, «non è quello di danneggiare la magistratura, ma garantirle più autorevolezza. La proposta mantiene ferme autonomia e indipendenza della magistratura, sia requirente sia giudicante».

E il pm non finirebbe sotto il tacco dell’esecutivo, grazie alla presenza di due Csm, composti equamente da laici e magistrati, il cui fine è quello di evitare che il giudice dipenda, per la propria carriera e per i procedimenti disciplinari, dal pm e viceversa. Incroci che sarebbero «perniciosi», secondo Migliucci: «La carriera dell’uno non può dipendere dall’altro ed è necessario che i magistrati si abituino ad essere giudicati nella carriera da terzi». Ma non solo: anche l’accesso alla carriera avverrebbe con concorsi separati, dal momento che si tratta di «due mestieri assolutamente diversi». Si tratta di una «battaglia identitaria» per le camere penali, ha evidenziato Caiazza, che dopo anni di «solitudine» può ora contare sul supporto di più forze politiche, di maggioranza e di opposizione. E l’attenzione dell’opinione pubblica c’è, ha sottolineato, come dimostrato dal consenso al quesito sulla separazione delle funzioni al referendum, nonostante il mancato raggiungimento del quorum. «La terzietà non può essere affidata alla virtù del giudice - ha evidenziato -, deve essere consacrata in una diversità ordinamentale. Questo schema appartiene a tutte le grandi democrazie del pianeta. La singolarità che viviamo è che a questa proposta si assegna un valore quasi eversivo. Ma è l’esatto contrario: siamo in compagnia di Paesi che non sono da additare ad esempio, mentre le carriere separate, nelle varie forme, appartengono alle grandi democrazie contemporanee». La strada è lunga e difficile: trattandosi di una riforma costituzionale il percorso prevede quattro letture ed un eventuale referendum. Ma lo scopo è chiaro: «Restituire forza e credibilità al giudice ed alla giurisdizione», risolvendo «l’anomalia» che oggi vede protagonista della stessa «il titolare dell’accusa, mentre la sentenza non interessa».

La proposta era naufragata nel corso della precedente legislatura, quando per evitare un emendamento soppressivo il ddl tornò in Commissione e si spense con la fine anticipata del governo Draghi. Ma ora i numeri starebbero dalla parte di Costa e compagni. «Penso che il prossimo Csm non sarà uno, ma due - ha sottolineato il deputato di Azione -. In due anni e mezzo questa riforma può vedere la luce». I ddl sono già stati calendarizzati in Commissione Affari costituzionali, dove il presidente Pagano si è autonominato relatore. Una velocizzazione dell’iter dovuta alla presenza di quattro proposte della stessa portata da quattro gruppi differenti (solo Forza Italia ha evitato di inserire nella proposta il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale per evitare di appesantire l’iter), sintomo di una «evidente convergenza» su un tema «popolare» che la politica non può ignorare. Proprio per tale motivo ha scelto di seguire personalmente il fascicolo, «tenuto conto dell’importanza che io affidavo a questo tema».

Una riforma «assolutamente necessaria», ha sintetizzato Calderone, secondo cui così «come il legislatore non si occupa di sentenze» il magistrato non dovrebbe occuparsi delle norme, che «comandano». E il legislatore arriva «fuori tempo massimo rispetto all’articolo 111 della Costituzione, entrato in vigore nel 1999». La stessa proposta è stata depositata al Senato dalla leghista Stefani, «per ampliare il coinvolgimento dei rami del Parlamento su una tematica così importante». Ed è obbligo del legislatore, ha aggiunto Morrone, «fare qualcosa per far tornare credibile il sistema giustizia». Una riforma senza «colore politico», alla quale chiunque, ha evidenziato, può dare un contributo. Il timore di Giachetti è che, però, sia proprio FdI a mettersi di traverso. «Le dichiarazioni di Nordio sullo stato della giustizia non hanno dimostrato che c’è un clima per cui andremo lisci con le riforme - ha evidenziato -. Non mi pare ci sia questa straordinaria solidità nella maggioranza su tutto. Spero che questo tema sia preservato da possibili problematiche interne perché sul tema per la prima volta in Parlamento c’è una maggioranza che va molto al di là delle occasioni passate. Credo che per la prima volta la politica possa assumere una decisione. I guasti del rapporto tra politica e magistratura sono colpa della politica, perché quando arriva al potere si gira dall’altra parte. Sarà molto interessante vedere cosa farà l’elettorato con un referendum senza quorum».