Giorgia Meloni avvisa gli alleati e apre le prime crepe ufficiali nella coalizione di centrodestra

«Se non dovessimo riuscire a metterci d’accordo su questo, non avrebbe senso andare al governo insieme».

Parole e musica di Giorgia Meloni che ieri, nel pieno dell’estate più calda del secolo, ha deciso di alzare ancora di più la temperatura gettando benzina su una coalizione che, almeno fino a ieri, aveva provato in tutti i modi a dissimulare unità e concordia: «Confido - ha poi aggiunto Meloni - che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato, che noi abbiamo sempre rispettato e che non si capisce per quale ragione dovrebbero cambiare oggi».

Immediata la replica di Matteo Salvini: «A palazzo Chigi andrà chi avrà ottenuto un voto in più». Meloni avverte gli alleati: «Senza accordo, nessun governo insieme»

A dividere il centrodestra resta sempre il nodo della “candidatura” alla premiership

«Se non dovessimo riuscire a metterci d’accordo non avrebbe senso andare al governo insieme». Neanche la campagna elettorale appena iniziata mette pace nel centrodestra. A dividere il fronte resta sempre il nodo della leadership dell’alleanza. Giorgia Meloni, forte dei sondaggi che quotano Fratelli d’Italia come primo partito, pretende di porsi alla guida della coalizione e di essere “candidata” come aspirante premier in caso di vittoria alle elezioni. Perché, è il ragionamento lineare della presidente di FdI, così è sempre stato nel centrodestra: il principale partito esprime il presidente del Consiglio. O almeno così è stato finché capo indiscusso di quel campo era Silvio Berlusconi. Ma ora che l’alleanza a trazione forzista non esiste più, Salvini e il Cavaliere tergiversano, evitano accuratamente di legittimare Meloni, lasciano circolare liberamente soluzioni alternative per la premiership, come quella Tajani, lanciata dal Ppe. Un po’ per tranquillizzare l’elettorato moderato, un po’ per rassicurare Washington e Bruxelles, un po’ per impedire che FdI detti legge anche nella suddivisione dei collegi uninominali, Lega e Fi si lasciano tutte le opzioni aperte. Ma ottengono, per ora, solo la reazione stizzita e minacciosa dell’amica e “sorella d’Italia”. «Confido che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato, che noi abbiamo sempre rispettato e che non si capisce per quale ragione dovrebbero cambiare oggi», ribadisce con nettezza Meloni, intervistata dal Tg5. E per evitare nuove tensioni che potrebbero danneggiare l’intera coalizione, portandola a sbagliare quello che dagli analisti viene definito quasi un gol a porta vuota, Salvini prova a gettare acqua sul fuoco. «Lasciamo a sinistra litigi e divisioni: per quanto ci riguarda, siamo pronti a ragionare con gli alleati sul programma di governo partendo da tasse, lavoro, immigrazione e ambiente», dice il capo del Carroccio. Che poi aggiunge: «Chi avrà un voto in più avrà l'onore e l'onere di indicare il premier» . Musica per le oreccchie di Meloni, che però vorrebbe anche sciogliere il nodo dei collegi distribuendo i posti sulla base dei sondaggi, in modo da accaparrarsi il maggior numero di scranni maggioritari. E in attesa di districare la matassa con gli alleati, la leader della destra si si dice pronta a una campagna elettorale «violentissima». «Non ci facciamo intimidire. E penso anche che la sinistra abbia bisogno di inventare una macchina del fango contro di noi, perché non può dire niente di concreto e di vero», aggiunge la presidente di FdI, riferendosi probabilmente alle preoccupazioni sulla possibile vittoria di una post fascita in Italia espresse dal New York Times.

Per il centrodestra quell’analisi d’oltreoceano, però, è stata ispirata dalla sinistra italiana. «Noi non abbiamo bisogno di inventare una macchina del fango contro di loro ( il centrosinistra, ndr) perché possiamo banalmente raccontare i disastri che hanno prodotto in Italia negli ultimi 10 anni al governo», spiega Meloni, prima di lanciare sul tavolo la sua “agenda”: presidenzialismo, sostegno all’economia reale, aiuti sociali.

Ma mentre la leader di FdI lavora sodo, sognando già l’ufficio di Palazzo Chigi, gli alleati fanno ancora i conti con una serie di problemini interni. Forza Italia resta il partito più malandato dopo la mancata fiducia al governo Draghi. E dopo Gelmini e Brunetta, a lasciare la casa azzurra ieri sono state le deputate Anna Lisa Baroni e Giusy Versace. «Abbiamo perso l’opportunità di differenziarci ancora una volta come forza responsabile: era nostro dovere garantire stabilità al Paese e continuità a questo governo che ben stava lavorando», dice la campionessa paralimpica sbattendo la porta. Molti ex forzisti sono pronti ad accasarsi da Calenda, che gà aspetta a braccia aperte la ministra Gelmini. Berlusconi lascia che vadano, ha la testa in campagna elettorale e il cuore a Palazzo Madama.