A Bruxelles e nel Ppe sono convinti che la Lega ( a differenza di FdI) non garantirebbe la fedeltà atlantica al governo

La differenza nell'atteggiamento dell'establishment italiano e probabilmente non solo italiano nei confronti di Giorgia Meloni rispetto all'ostilità radicale di quattro anni fa per i 5S e per Salvini a tutt'oggi è evidente. Non che l'eventuale ingresso di una leader “postfascista” a palazzo Chigi sia cosa gradita. Le preoccupazioni ci sono, però contenute. Qualche grido antifascista risuona, ma nulla a che vedere con l'isteria che aveva accompagnato nel 2019 la meteorica ascesa del leader leghista nei consensi popolari.

Giorgia Meloni ha notoriamente un ottimo rapporto con Mario Draghi. La reciproca simpatia politica tra lei e Letta è tanto evidente da rendere tanto teatrali quanto poco credibili gli appelli antifascisti, peraltro svogliati e rari, quasi solo propaganda dovuta, da parte del Pd.

Questo “occhio di riguardo” dell'establishment non è un premio vinto alla lotteria. È il risultato di una strategia applicata con metodo dalla candidata premier della destra da quando i sondaggi hanno iniziato a registrare la sua corsa. Giorgia è stata in realtà molto attenta a mantenersi sempre nei confini di una destra conservatrice certo radicale ma non antisistema, segnando in questo uno scarto netto rispetto al M5S e alla Lega che avevano fondato l'impennata dei consensi proprio sulla propaganda antisistema.

Come leader dell'opposizione al governo Draghi è stata dura nei toni, ma solo nei confronti dei partiti della maggioranza e in particolare del Pd, mai rivolta al premier. Nella sostanza è stata invece più che collaborativa. Ha saputo prendere per tempo le distanze da Putin, abbracciando un atlantismo radicale, senza mai vacillare. Soprattutto non ha mai prestato il fianco all'accusa di voler terremotare i conti pubblici con promesse azzardate e proposte mirabolanti.

L'esito di questo schema di gioco seguito senza grossi inciampi per un paio d'anni è che oggi il principale fianco scoperto della probabile futura premier è il suo alleato, Matteo Salvini.

La diffidenza, anzi la franca ostilità dell'establishment italiano e di Bruxelles nei confronti del capo leghista è totale e irrecuperabile. Lo era già prima della guerra, perché l'Europa ha sempre considerato inaccettabile Quota 100, molto più del reddito di cittadinanza, e ritiene che ancor oggi la sbandierata intenzione di cancellare la riforma Fornero sia una mina vagante. Ma il veto è diventato ancora più drastico dallo scoppio della guerra in poi perché Salvini, come Conte e a differenza di Meloni, è visto davvero come una pedina di Mosca nella peggiore delle ipotesi o come una elemento di assoluta inaffidabilità nella migliore.

Oggi il presidente del Ppe Manfred Weber sarà a Roma. Vedrà Berlusconi, Tajani, Cesa, i leader delle formazioni italiane che aderiscono al Ppe.

Garantirà l'appoggio alla coalizione di centrodestra, suggerirà di mantenere e stringere i rapporti con FdI, in nome dell'asse già vincente a Strasburgo tra Ppe e gruppo Conservatori e Riformisti Europei, di cui proprio Giorgia Meloni è presidente. Non con la Lega però, o almeno non con Salvini perché sulla Lega di Giorgetti e Zaia nessuno ha nulla da ridire, né nell'establishment italiano né a Bruxelles o Strasburgo. Il sogno sarebbe sostituire il Carroccio con il Terzo Polo di Calenda ma oggi si tratta di un miraggio e lo stesso Weber probabilmente lo sa perfettamente. Il consiglio allude a possibili orizzonti futuri, non presenti.

Tra i molti elementi di divisione tra la leadeship tricolore e quella leghista l'unico davvero potenzialmente deflagrante riguarda proprio i rapporti con la Russia. È così oggi ma lo sarà probabilmente ancora ancora di più domani perché la stretta sui visti e l'introduzione del Price Cap sul gas implicherebbero un passo deciso sulla strada dell'escalation nella guerra politico- finanzia ria contro la Russia. Se a un certo punto Giorgia Meloni si troverà in condizioni di dover trattare con Bruxelles e Washington gli assetti politici italiani potranno essere ipotizzati molti e diversi schemi. Tutti con un elemento comune: la messa ai margini di Conte e Salvini. Perché nel quadro attuale le sole forze politiche inaccettabili sono quelle considerate di scarsa fedeltà atlantista o, peggio, quinte colonne del nemico.