La pena deve essere proporzionata. Di più: il giudice non dev’essere costretto ad applicare una sanzione senza poterne graduare il tenore. Bene, direte: siamo ai principi base del diritto penale. Sì, ma quei principi non sempre si riflettono nella norma concreta. Lo hanno notato le Sezioni unite civili della Cassazione, che tre giorni fa, con l’ordinanza interlocutoria 26693, hanno rimesso alla Corte costituzionale una di queste leggi “manichee”.

Non siamo nel codice penale, ma nel sistema disciplinare dei magistrati. In particolare, si tratta dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 109 del 2006, che disciplina appunto gli illeciti disciplinari delle toghe. Ebbene, la Suprema corte ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità relativa alla misura che prevede la rimozione dall’ordine giudiziario per il magistrato che incorra in una condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore a un anno “senza prevedere che sia comunque rimessa all’Organo di governo autonomo”, cioè al Csm, “la valutazione concreta della offensività della condotta al fine di una eventuale graduazione della misura”.
Tradotto: una previsione punitiva così “tranchant” forse merita la censura della Consulta. Solo per completezza, va detto che il giudice per il quale le Sezioni unite hanno chiamato in causa la Corte costituzionale è Fabio Licata, riconosciuto responsabile, in concorso con Silvana Saguto, di falsità materiale in atti pubblici (articolo 476 cp) commessa all’epoca in cui era alle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo Al di là del caso specifico, c’è da essere compiaciuti per l’omaggio della Cassazione al principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione, oltre che ad analoghe statuizioni della Cedu. Tutto bene, ma sarebbe ancora meglio se tanto scrupolo si estendesse anche ai politici. Ai sindaci, per esempio, che non solo decadono sempre e comunque se condannati in via definitiva ma che sono addirittura sospesi, in virtù della legge Severino, già se riconosciuti colpevoli in primo grado. A far notare questa, come dire, disparità di trattamento è l’esemplare Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione, che chiosa con amarezza: «Il sindaco sì, il magistrato no...».

Le Sezioni unite civili, osserva, «si schierano di nuovo dalla parte delle toghe che sbagliano e vengono condannate senza condizionale, ritenendo incostituzionale l’automatica rimozione dall’ordine giudiziario». Questi magistrati, si chiede Costa, «possono restare in servizio a giudicare, condannare o arrestare?». Eppure, ricorda appunto il parlamentare, «se un sindaco viene condannato in primo grado viene sospeso, se la condanna è definitiva decade: non mi pare che le Sezioni Unite della Cassazione abbiano mai considerato incostituzionali queste norme. O forse i magistrati godono di una tutela costituzionale rafforzata quando subiscono una condanna?». E a voler rovesciare il discorso di Costa, si può anche dire: ma quando ci si decide a sopprimere la manifestamente incostituzionale legge Severino?