Dopo quasi 26 anni di 41 bis, l’ex boss dei Casalesi Francesco Schiavone detto “Sandokan” per la somiglianza con l’attore Kabir Bedi, ha deciso di pentirsi. Ed è una buona notizia, anche se è ancora presto per capire se effettivamente si dimostrerà persona seria e attendibile, e non come il cugino casalese Carmine Schiavone, colui che chiamava i giornalisti al cellulare per dettare dichiarazioni, rilasciare interviste, ricevere parroci e addirittura ammonire gli uomini delle Istituzioni. Come sappiamo, dopo aver contribuito ad arresti importanti, utili per la imponente operazione “Spartacus”, arrivò a esagerare, diffondendo la bufala dello smaltimento delle scorie radioattive in terre campane e siciliane.

Il problema è capire cosa ci si aspetta da lui. Sicuramente non l’attualità, ma affari risalenti agli anni ‘90, visto che dal 1998 è recluso ininterrottamente al carcere duro. Il dramma è che sono già usciti articoli, a partire dal Corriere della Sera, che invece di attendere che sia verbalizzato tutto ciò che sa Sandokan, hanno già stilato la lista dei desideri.

Già si evince che non potrebbe bastare rivelare l’eventuale collusione con settori della politica e imprenditori per la spartizione dei pubblici appalti, ma i “segreti” delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. E per segreti si intende ovviamente il teorema Trattativa e fantomatici papelli. A quel punto si potrebbe dare il via a una nuova edizione della trattativa in salsa campana, magari “camorra stragista”. Sandokan, in quel caso, avrebbe tutti i numeri per candidarsi a icona antimafia.

Se invece, ma questo dipende dall’approccio laico dei magistrati, la questione di quegli anni verrà affrontata in maniera pragmatica, sicuramente sarà interessante comprendere come le organizzazioni mafiose si accordavano per la spartizione degli appalti pubblici, anche – come nel caso di Cosa nostra – fuori dal territorio. Pensare che le stragi di Totò Riina fossero compiute in accordo con le altre mafie è fuori da ogni logica. Soprattutto quando il capo dei capi compartimentava i suoi stessi “soldati”. Spieghiamolo meglio.

Nel corso degli anni'90, al fine di ridurre i danni provocati dai collaboratori di giustizia (arresti e confische di beni), Cosa nostra aveva in parte modificato la sua struttura seguendo una logica di compartimentazione mutuata dalla 'ndrangheta. I membri di un gruppo conoscono solo il loro capo e gli altri partecipanti al consesso. Essi, dunque, conoscono una parte dell'organizzazione, non tutto il suo insieme. La compartimentazione, in tal modo, ha ridotto il grado di conoscenza di Cosa nostra che un affiliato, una volta arrestato, può eventualmente confessare agli inquirenti. Quindi figuriamoci Sandokan.

Detto questo, bisogna chiarire quale sia il legame tra i casalesi e gli allora corleonesi. La camorra diventa moderna criminalità organizzata negli anni 70, quando si allea con Cosa nostra, prima nel contrabbando del tabacco, poi nel traffico di droga. Contemporaneamente si conclude la breve fase dei consistenti investimenti pubblici per lo sviluppo produttivo e industriale del Sud. Con la svolta del 1973, l’intervento pubblico del Mezzogiorno diventa di tipo assistenziale, centrato sui trasferimenti alle persone e la gestione clientelare delle risorse pubbliche. La decisione della magistratura di mandare molti capimafia in domicilio coatto nel napoletano, produrrà, al principio degli anni 70, il superamento della storica incompatibilità tra mafiosi e camorristi. I grossi interessi di Cosa nostra siciliana nel contrabbando di tabacco consiglieranno di procedere all’affiliazione mafiosa di alcuni capicamorra già molto attivi nel settore: Salvatore e Michele Zaza, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, Antonio Bardellino.

I Nuvoletta, con una scelta lungimirante, stabilirono un'alleanza con i corleonesi Liggio, Riina e Bagarella, mentre Bardellino faceva riferimento a Rosario Riccobono, Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, tutti esponenti delle famiglie palermitane che poi cadranno sotto i colpi dei Corleonesi o saranno costretti a fuggire. Questa partnership tra mafia e camorra avrebbe avuto un impatto strategico nei loro affari futuri, dall'ambito della droga fino agli appalti. Bardellino notò le potenzialità di Francesco Schiavone, arruolandolo nel suo gruppo e mettendolo a disposizione del narcotrafficante Umberto Ammaturo come autista in alcune occasioni. Nel 1981 Sandokan venne formalmente "battezzato", diventando così affiliato alla Cosa nostra Casalese, schierandosi poi con Bardellino e Iovine contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Durante una tregua temporanea con Cutolo, Schiavone fu uno dei soldati più attivi nell'esercito di Bardellino nella guerra contro la Nco. Tuttavia, conscio di dover restare in una posizione subordinata, Schiavone sfruttò l'insoddisfazione crescente all'interno dell'organizzazione nei confronti di Bardellino per avanzare le sue ambizioni. La situazione sfociò in una faida interna quando il fratello di Mario Iovine, Domenico, fu ucciso su ordine di Bardellino. Schiavone approfittò di questo clima di tensione, convincendo Iovine che la vendetta era giusta, arrivando all'assassinio (tramite un martello da muratore) di Bardellino nel 1988 in Brasile. A volerlo morto erano anche i corleonesi.

A riscontro di ciò, vi sono le dichiarazioni di Giovanni Brusca e di suo fratello Enzo. Secondo i fratelli Brusca, Riina desiderava ardentemente l'eliminazione di Bardellino, e in virtù di ciò, ordinò ai Nuvoletta di ammazzarlo. Quando costoro gli palesarono la volontà di stringere una pace con lui (maturata dopo lo scotto terribile determinato dalla "strage di Torre Annunziata"), i rapporti fra Riina e i Nuvoletta, fino ad allora sempre idilliaci (Riina soleva spesso trascorrere la propria latitanza all'interno della tenuta dei Nuvoletta), si raffreddarono. Le due famiglie infatti, come segno di reciproco affetto, si scambiavano ogni anno numerose cassette di prodotti locali, scambi che cessarono dopo il mancato assassinio di Antonio Bardellino.

Con la morte di Bardellino la coppia Iovine-Schiavone prese il controllo del clan dei Casalesi. L'uso sistematico della forza divenne la strategia predominante per imporsi sul territorio, mentre il clan iniziò a infiltrarsi in vari settori dell'economia legale, determinando così la sua ramificazione. Anche se latitante all'estero Schiavone mantenne il controllo del clan, guidando la sua evoluzione attraverso l'uso della violenza e l'infiltrazione economica. Se collaborerà come ha intenzione di fare, sarà interessante comprendere se ci sia stato anche una sorta di accordo con i corleonesi per quanto riguarda la spartizione degli appalti pubblici ed eventuale coinvolgimento di imprese nazionali.

Detto questo, come dice il deputato Andrea Delmastro, è merito del 41 bis se Schiavone ha deciso di collaborare? Se dallo Stato è considerato uno strumento per costringere il detenuto alla collaborazione, allora è incostituzionale. Non ha nulla a che vedere con la finalità, visto che il carcere differenziato nasce – secondo la volontà di Falcone – per evitare che il soggetto dia ordini all’esterno. Null’altro. Se invece la finalità è la coercizione fisica e psicologica, tecnicamente parliamo di tortura.