LO SCENARIO

Di fatto, anche se ancora non ufficiale, è l’apertura della crisi. Infatti quella presentata ieri da Italia viva non è una proposta di correzioni o aggiustamenti, anche profondi, del Piano vagheggiato da Conte. E’ un impianto alternativo, che mira esplicitamente a sostituire quello che Renzi, quasi brutale, definisce «un piano senz’anima e raffazzonato». Al di là del merito specifico, il segnale politico non potrebbe essere più chiaro. La tregua, durata pochi giorni e dovuta essenzialmente alla necessità di varare in tempo la legge di bilancio, è finita. Renzi non si accontenta del tono nuovo e più aperto adottato da palazzo Chigi, al quale peraltro non è affatto detto che corrisponda poi una disponibilità reale. Riparte all’attacco.

Non è una situazione facile quella in cui si trova oggi l’ex premier. Non può arretrare. Si è spinto troppo avanti nel braccio di ferro con Conte per accontentarsi di qualche concessione minima e di una postazione di potere nella gestione del Recovery Plan italiano senza perdere non solo la faccia ( nella politica italiana è un problema minore) ma soprattutto ogni ruolo centrale nella prossima e decisiva fase politica. L' obiettivo principale a cui mirava, la sostituzione di Conte a palazzo Chigi, appare però fuori portata. Anche il Pd e soprattutto i 5S si sono infatti esposti troppo nel far muro intorno a un premier che pur amano ben poco, almeno nella componente 5S vicina a Di Maio, per consentirne la detronizzazione. Tanto più che lo scudo del capo dello Stato rende molto difficile colpirlo. Dunque, se non può arretrare, Renzi non sa nemmeno bene come avanzare. A complicare le cose ci si mette il carattere di Conte. Apparentemente mediatore, è in realtà un tipo che punta i piedi e, soprattutto quando ci sono di mezzo il suo ruolo e i suoi poteri, smuoverlo è tanto facile nell'apparenza quanto impossibile nella sostanza. Sul Mes, la principale richiesta di Renzi al di fuori della specifica querelle sul Recovery Plan italiano, il premier non potrebbe cedere neppure se volesse. In privato il capo di Iv si dice convinto che alla fine il M5S accetterà di chiedere almeno una parte del prestito, soluzione indicata dal vicesegretario del Pd Andrea Orlando nell'ultimo mese, ma già ipotizzata come punto di caduta possibile dal Colle dall'inizio del braccio di ferro, in primavera. In realtà anche questa formula è poco praticabile. Il no al Mes è per Di Maio il punto della bandiera, l'elemento che, ormai unico e solo, gli permette di rivendicare una in realtà inesistente continuità con il MoVimento delle origini. Ma pure sulla delega ai servizi segreti, che anche il Pd gli chiede a gran voce di cedere, Conte non ci sente ed è deciso a mantenerla nelle sue mani. In queste condizioni il rischio che tra una sconfitta politica certa e rovesciare il tavolo rimescolando tutto, anche a costo di rischiare un esiziale voto anticipato, Renzi preferisca la seconda ipotesi è reale, anche tenendo conto del carattere dell'uomo.

La chiave del rebus è nelle mani di Zingaretti, leader che sin qui si è però dimostrato ben poco adeguato a esigenze del genere. L'unica soluzione di mediazione che si profila per evitare il pericolo di una crisi al buio è infatti una di quelle che possono funzionare proprio perché scontentano un po' tutti: un nuovo governo Conte sostenuto dalla stessa maggioranza ma con equilibri diversi al suo interno e un ridimensionamento del ruolo onnivoro assunto negli ultimi mesi da palazzo» Chigi. Non è quel che voleva Renzi, dal momento che l'avvocato resterebbe al suo posto. Non è che quel che vuole Conte, che non intende farsi condizionare dalla maggioranza che lo sostiene. Non è l'ipotesi preferita dal Colle, che ritiene opportuno intervenire il meno possibile su un edificio così fragile, per evitare il rischio di uno sfracello che, dopo la conferenza stampa a scimitarra sguainata tenuta ieri da Renzi, non è affatto ipotesi remota.

In compenso è il risultato a cui mira dall’inizio Zingaretti, senza avere il coraggio di metterlo apertamente in campo, e andrebbe bene anche a Di Maio. Nessuno dei contendenti, Renzi e Conte, ne uscirebbe trionfante ma neppure sconfitto e il Colle, accetterebbe una formula del genere, pur non auspicandola.

Ma per chiudere la partita in questo modo, col minor danno nell'immediato e forse con qualche vantaggio in prospettiva perché rivedere profondamente il funzionamento della squadra di governo sarebbe utile per tutti, ci vorrebbe una regia politica accorta. Il solo partito in grado di svolgere quel ruolo, nella maggioranza, è il Pd. Che riesca a farlo davvero, però, è tutto da dimostrarsi.