*Riportiamo di seguito un estratto dell’articolo pubblicato sul blog “Terzultima fermata” di Vincenzo G. Giglio e Riccardo Radi.

Può un procedimento fare la spola tra le corti di merito e la Cassazione per ben 6 volte nel corso di circa quindici anni? Le vie della giustizia possono risultare tortuose e la vicenda che abbiamo scovato al Palazzaccio è la riprova che la realtà supera la più fervida fantasia.

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 35216 depositata il 19 settembre 2024 ha annullato per la sesta volta una sentenza di merito della Corte di appello di Bari rinviando gli atti per un nuovo giudizio. La vicenda assume le vesti di una sorta di epopea giudiziaria; in maniera dissacrante si potrebbe anche definire una “parodia giudiziaria” che fotografa quanto può essere farraginosa la macchina della giustizia.

Partiamo dall’inizio: il GUP del Tribunale di Bari in data 20 novembre 2004, emise all’esito di giudizio abbreviato, una sentenza di condanna nei confronti di G.C. riconosciuto colpevole del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso con funzione di promotore e organizzatore (capo A), con la confisca di quanto in sequestro.

Con sentenza in data 20 febbraio 2008, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolse G.C. per insussistenza del fatto in relazione al delitto di cui al capo A) dell’imputazione, revocando l’ordine di confisca di quanto sequestrato nei suoi confronti e disponendone la restituzione. Inizia il ping-pong e con sentenza n. 13972 in data 4 marzo 2009, la Corte di cassazione, prima sezione penale, annullò la sentenza di appello, rilevando l’erronea ricostruzione e valutazione degli elementi probatori a carico dell’imputato in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. contestato al capo A), rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Con sentenza del 28 gennaio 2011, la Corte di appello, giudicando in sede di rinvio, assolse nuovamente l’imputato dal reato ascrittogli al capo A) per non aver commesso il fatto, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. Anche la nuova decisione fu però annullata dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale, con sentenza n. 24612 del 18 maggio 2012 limitatamente alla posizione di G.C., rinviando per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

La Corte di appello di Bari, giudicando nuovamente in sede di rinvio, con sentenza del 9 luglio 2015, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, dichiarò non doversi procedere per essere il reato a lui ascritto al capo A) estinto per intervenuta prescrizione, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Pronunciandosi su ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari e dello stesso G.C., la Corte di cassazione, prima Sezione penale, con sentenza n. 13571 in data 1° febbraio 2017 (...) ritenendo fondati entrambi i ricorsi, annullò la sentenza impugnata limitatamente a tali punti, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per un nuovo giudizio su essi.

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 15 novembre 2018, decidendo nuovamente in sede di rinvio, ritenuta fondata l’eccezione formulata dall’imputato, dichiarò non doversi procedere nei confronti di G.C. per il reato a lui ascritto al capo A), in quanto l’azione penale non doveva essere proseguita per ne bis in idem internazionale ai sensi dell’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, disponendo la revoca della confisca e la restituzione all’avente diritto dei beni in sequestro.

In accoglimento di un nuovo ricorso del Procuratore generale, la Corte di cassazione, quinta sezione penale, con la successiva sentenza n. 15818 del 19 febbraio 2020, annullò ancora una volta la decisione della Corte territoriale, ritenendo insussistente la preclusione del doppio giudizio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per un nuovo esame circa l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione e, in caso di scrutinio positivo di tale questione, per un nuovo esame circa la ricorrenza dei presupposti della confisca.

Con sentenza emessa il 3 febbraio 2021, la Corte di appello di Bari, ancora giudicando in sede di rinvio, negando stavolta il riconoscimento delle attenuanti generiche, confermò la sentenza di condanna del GUP di Bari nella parte in cui accertava la responsabilità di G.C. per il reato di cui al capo A); e, per l’effetto, dispose la confisca di quanto in sequestro.

A seguito di ricorso dell’imputato, la Corte di cassazione, prima sezione penale, con sentenza n. 35340 del 24 maggio 2022, ritenendo sussistenti i vizi motivazionali denunciati, annullò, senza rinvio, la sentenza impugnata ritenendo maturata l’estinzione per prescrizione del reato di cui al capo A) e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello territoriale quanto alla confisca.

(...) Con sentenza in data 10 ottobre 2023, la Corte barese, dopo avere premesso che il reato ascritto a G.C. era ormai estinto per prescrizione e avere qualificato la confisca ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., ha rigettato la richiesta di misura patrimoniale avanzata dal Pubblico ministero. (...) Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari (...). Dopo questo fiume di parole e di sentenze la Corte di cassazione per la sesta o settima volta, devo dire che ho perso il conto, con la sentenza numero 35216/2024 ha statuito: “Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari”. Ci sarà un nuovo giudizio di merito e non si esclude un nuovo giudizio in cassazione che forse solo l’ordinaria fisiologia umana potrebbe evitare.

D’altronde, come scrisse Indro Montanelli: «L’Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, “la culla del diritto”. Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo».