È al centro della galassia a 27mila anni luce, 4 milioni di volte più pesante del Sole La sua scoperta conferma ancora una volta le intuizioni e i calcoli di Einstein

Se ne sta lì, signore dello spazio- tempo al centro della Via Lattea e giganteggia dall’alto dei suoi sei milioni di chilometri di diametro con la sua massa quattro milioni di volte maggiore di quella solare a 26mila anni luce di distanza dal nostro pianeta.

È Sagittarius A*, il “nostro” buco nero e da ieri abbiamo una prova fotografica della sua esistenza grazie al Event Horizon Telescope ( Eth), il più potente strumento di osservazione degli astri mai realizzato. Si tratta di una “rete” di 43 telescopi installati alle Haway, in Messico, Cile, Spagna, Francia e ai due poli, l’Artico e l’Antartide: funzionano come una lente virtuale di 10 chilometri di diametro capace di riprendere in alta risoluzione una pallina da tennis sulla superficie lunare.

Ci sono voluti cinque lunghi anni per elaborare la sua immagine grazie al lavoro di trecento ricercatori e ricercatrici degli ottanta istituti di astrofisica che fanno parte del progetto Eth.

Naturalmente non si tratta di una fotografia diretta ma di milioni di i” scatti” realizzati con diverse combinazioni di parametri per i vari algoritmi di imaging; un buco nero infatti è un oggetto paradossale, dotato di una gravità così forte da imprigionare anche la luce all’interno del suo “orizzonte degli eventi” che ne segna i limiti fisici: quella presentata ieri dalla sede dello European southern observatory in Germania in una conferenza stampa simultanea in decine di Paesi ( anche dall’Istituto italiano d’astrofisica) è l’ombra di Sagittarius A* ritagliata dallo sfondo dei gas incandescenti che lo circondano, una specie di polvere di stelle che permette di delinearne i contorni.

Così possiamo osservare con nitidezza la sua regione centrale scurissima attorniata da una struttura luminosa a forma di anello.

E’ praticamente la stessa tipologia di immagine di M87*, il primo buco nero ritratti dai telescopi terrestri nel 2019 che troneggia nella remotissima galassia Messier 87, oltre 50 milioni di anni luce lontana dal nostro sistema solare, un “mostro” sei miliardi di volte più pesante del Sole.

Nonostante la lontananza dierale è stato individuato prima proprio grazie alla sua massa gigantesca che permette osservazioni più stabili perché i gas che gli ruotano attorno impiegano molto più tempo a completare l’orbita consentendo così di realizzare con relativa facilità “fotografie” della sua corona brillante.

Già in passato gli scienziati avevano scoperto stelle che si muovevano intorno a un corpo invisibile, compatto e molto massiccio al centro della nostra galassia. E quelle osservazioni suggerivano che l’oggetto in questione,, fosse un buco nero, solo che adesso ne possediamo la prima prova visiva.

La scoperta di Saggittarius A* invece risale alla metà degli anni novanta e aveva fatto conquistare nel 2020 il premio Nobel per la fisica al tedesco Reinhard Genzel e all’americano Andrea Ghez, entrambi astroficici, nonché al geniale Roger Penrose, il matematico britannico che ha dimostrato il processo di formazione dei buchi neri attraverso le equazioni della relatività generale ripercorrendo tutti i calcoli.

La cosa che continua a sorprendere e a lasciarci pieni di ammirazione a distanza di un secolo è che le intuizioni e i calcoli di Albert Einstein vengono ogni volta confermati dalle verifiche sperimentali.

Lo scienziato tedesco non aveva infatti il supporto di strumenti di osservazione così potenti e sofisticati come quelli di oggi per verificare la sua teoria, è arrivato a teorizzare la legge di gravitazione universale, con la sola forza del pensiero e senza confrontarsi granché con i membri della comunità scientifica o del mondo accademico ( lavorava come tecnico all’ufficio brevetti di Berna), il che ci restituisce pienamente la grandezza assoluta della sua costruzione intellettuale.

«Siamo rimasti sbalorditi da quanto le dimensioni dell’anello siano in accordo con le previsioni della teoria della relatività generale di Einstein», dice Geoffrey Bower, Project Scientist all’Academia Sinica di Taipei. Tra i fenomeni teorizzati da Einstein e poi confermati dai telescopi Eth il fatto che attorno ai buchi neri la gravità non dipende più dalla massa degli oggetti Per chi fosse interessato ad approfondir, i risultati dettagliati delle ricerche e delle osservazioni degli ultimi cinque anni sono descritti in una serie di articoli pubblicati propr io ieri su un numero speciale della rivista The Astrophysical Journal Letters.

«Ottenere questa immagine è sempre stato il nostro obiettivo sin dall’inizio del progetto e poterla rivelare al mondo oggi ci ripaga di tanti anni di duro lavoro», spiega ai media Ciriaco Goddi, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari, associato INAF e INFN, che fa parte del progetto dal 2014, come coordinatore del gruppo europeo di BlackHoleCam, uno dei progetti da cui ha avuto origine la Collaborazione EHT.