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L’INCHIESTA
Non serviva una guerra per scoprire che l’Europa, con l’Italia in testa, dipende energeticamente dalle importazioni di idrocarburi. Potrebbe essere utile però a evitare di commettere gli stessi errori in futuro, lasciando ad autocrati e dittatori il potere di minacciare la chiusura dei rubinetti mandando in crisi l’intero sistema di approvvigionamento.
La pistola, in questo caso metaforica, puntata da Vladimir Putin sul Vecchio continente, non è infatti l’unica impugnata da un regime autoritario. Buona parte delle risorse sono in mano Paesi non propriamente catalogabili come “democratci”.
Secondo l’ultima “Relazione annuale sulla situazione energetica nazionale”, pubblicata dal ministero per la Transizione ecologica nel luglio 2021 e riferita all’anno precedente, l’Italia importa il 73,4 per cento del proprio fabbisogno. E per soddisfarlo, nel 2020 abbiamo utilizzato gas naturale per il 40 per cento, petrolio per il 33 e solo per il 20 per cento fonti rinnovabili. Ma dove compriamo questi beni? Circa il 40 per cento del gas importato proviene dirttamente da Mosca, ma un altro 22 per cento arriva dall’Algeria che ci fornisce anche una parte del nostro petrolio. E non è un caso che a guerra in Ucraina scoppiata il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si sia precipitato ad Algeri insieme ai dirigenti dell’Eni per provare a incrementare gli approvvigionamenti di gas provenienti dal Maghreb. Quella algerina è una democrazia abbastanza fragile, attraversata da forti scontri sociali, governata da un regime che ha vinto elezioni alle quali ha partecipato una minoranza di elettori. Sul fronte dei diritti, il governo di Algeri non sembra brillare, almeno a leggere i rapporti di organizzazioni come Amnesty International, che denunciano «la dura repressione governativa che ultimamente ha colpito i partiti politici di opposizione». Nell’ultimo anno, «le autorità algerine hanno chiuso le sedi di alcuni partiti, hanno condannato leader di partito e represso in modo brutale qualsiasi forma di dissenso portando ad almeno 251 il numero delle persone attualmente detenute per aver esercitato i loro diritti alla protesta pacifica e alla libera espressione», recita il rapporto.
Ma l’Algeria non è il paese più problematico da cui l’Italia importa energia. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, tra i maggiori fornitori di gas figura l’Azerbaigian, non proprio una stella polare in tema di democrazia. Il regime è retto da Ilham Aliyev, figlio e successore di suo padre nella carica di presidente, eletto ininterrottamente dal 2003 dal popolo azero. È il classico degli autocrati stile Putin, capace di stabilizzare un’area geografica movimentata e per questo piace molto all’Occidente. E anche all’Italia, tanto da essere il primo fornitore di petrolio al nostro paese e il terzo di gas.
A soddisfare la nostra richiesta di energia però c’è anche il Qatar. L’emirato è da tempo al centro delle attenzioni internazionali per la condizione delle donne, ancora soggette a un “sistema di tutela maschile” e per il trattamento disumano dei lavoratori immigrati. Sul primo punto è Human Rights Watch a raccontare con un report il soggiogamento subito dalle qatarine. «Le donne in Qatar hanno superato molte barriere e fatto notevoli progressi in molti campi. Tuttavia, devono ancora subire un sistema oppressivo che impedisce loro di vivere vite indipendenti, piene», scrive l’organizzazione internazionale. «Il sistema di tutela maschile incoraggia violenza e soprusi e lascia alle donne pochissime occasioni per sfuggire ad una famiglia o ad un marito oppressivi». E sul fronte dei diritti del lavoro la situazione non si presenta più rosea. Anzi, da anni, almeno da quando il Qatar si è aggiudicato l’edizione 2022 dei mondiali di calcio, l’emirato è accusato di tenere i lavoratori migranti ( la maggior parte della manodopera locale) soprattutto di origine nepalese in condizioni di semischiavitù: sfruttati, sottopagati e spesso esposti al rischio della vita. L’elenco dei nostri fornitori di gas, però, non si ferma qui. Tra i Paesi esportatori figura anche la Libia, su cui è superfluo soffermarsi sulle violazioni dei diritti umani, e l’Egitto, con cui Eni ha un rapporto consolidato dal 1954.
Se ci sposta solo sul versante petrolio la situazione non cambia. Oltre ai già citati azeri, il nostro fabbisogno dipende dalla onnipresente Russia, dal Kazakistan e ovviamente dall’Arabia Saudita, controllata da una monarchia assoluta accusata, tra le altre cose, di aver ucciso e fatto a pezzi il giornalista Jamal Ahmad Khashoggi.
In un quadro di questo tipo, non è difficile dunque comprendere che Vladimir Putin è solo una parte del problema. È l’intero sistema di approvvigionamento energetico a rendere l’Europa e l’Italia ostaggi e foraggiatori di regimi autoritari.