Una donna malata, una struttura sanitaria, i baschi verdi della Finanza e, oltre i cancelli, i giornalisti pronti a filmare tutto. L’ennesimo caso di giustizia spettacolo è quello di Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, condannata in via definitiva - ma la pena va rideterminata - per la gestione dei beni confiscati.

Un crimine terribile, il suo, che ha rovinato la vita di decine di famiglie. Ma terribile è anche la scelta consapevole di ledere la sua dignità, da cannibalizzare in diretta, nonostante i tentativi disperati del figlio di nascondere il volto della madre con il proprio corpo. «Il figlio minaccia i giornalisti», si legge online, a corredo delle immagini che immortalano il giovane urlare che si tratta di una struttura sanitaria e vige la privacy più stretta. Urla e dichiara la disponibilità a farsi arrestare, quell’uomo, pur di porre fine allo stillicidio, contrario ad ogni regola deontologica richiamabile a memoria e che ricorda ad ogni giornalista che la dignità delle persone non può essere violentata in nome del diritto di cronaca. Filmare quell’arresto, d’altronde, non fornisce alcuna informazione ulteriore all’opinione pubblica, alla quale sarebbe bastato sapere che la giudice e gli altri condannati sono finiti in carcere. Mentre sarebbe stato più utile chiedersi, forse, perché la pena sia stata subito eseguita quando c’è da affrontare un nuovo processo per stabilire l’entità della stessa. Domande sciocche, forse, interessanti solo per gli “addetti ai lavori”. Come se la giustizia interessasse solo una piccola parte della società.
«I baschi verdi antiterrorismo della Gdf per arrestare una persona anziana in ospedale, “casualmente” i giornalisti appostati, un figlio costretto a fare da scudo alla mamma dai flash e dalle riprese. Uno schifo vomitevole da Paese incivile», ha commentato su Twitter il deputato di Azione Enrico Costa, tra i pochi attenti - e in maniera bipartisan - alle degenerazioni della giustizia che si trasforma in show televisivo. Uno spunto di riflessione che non ha prodotto l’effetto sperato: i commenti al Tweet sono spietati e svelano una concezione della giustizia che è più vicina alla legge del taglione.

Hai rovinato tante famiglie, devi subire l’umiliazione che hai inflitto, questo il riassunto delle reazioni. «Buonismo schifoso», scrive un utente, «lo schifo è vedere come difendi i delinquenti» e poi ancora «siamo di fronte al male assoluto, nessuna pietà», ribadiscono altri. La giustizia non serve a nulla se non alla vendetta e pensare che un giorno con Silvana Saguto possa essere messo in pratica l’articolo 27 della Costituzione, che mira alla sua rieducazione, è forse una speranza vana. D’altronde tra le proposte depositate da Fratelli d’Italia a inizio legislatura ve n’è una che mira a modificare anche questo pilastro: prima viene l’effetto “intimidatorio” della pena, poi - se rimane spazio - quello rieducativo. E poco importa se la repressione ha sempre fallito nella battaglia contro il crimine.
La reazione scomposta della stampa è il sintomo di una “malattia” molto grave: l’informazione è una merce e dunque le regole che valgono non sono quelle deontologiche e nemmeno le leggi dello Stato, ma le regole di mercato. Ed è il mercato a richiedere la gogna, che porta clic, anche se fa a pezzi la Costituzione. La stessa sulla quale hanno giurato coloro che, occupando ruoli istituzionali, invocano la forca dai propri palcoscenici virtuali.

Difficile far sentire in colpa, dunque, chi da casa rivendica il diritto di poter dire la sua. Il corpo di quel giovane uomo disperato di fronte alla distruzione della sua famiglia - anche il padre è stato condannato - avrebbe dovuto essere, metaforicamente, il corpo di chi, come il giornalista, avrebbe il compito di garantire il rispetto dei principi cardine della nostra democrazia. Tra i quali non rientra la spettacolarizzazione della giustizia. Ma dovremo accontentarci, forse ancora per molto, della battaglia solitaria di chi prova a scardinare tutto questo.

E dovrebbe far riflettere se a condannare questo modus operandi è proprio chi del “sistema Saguto” (forma che a sua volta serve ad assolvere chi ha consentito che tutto questo avvenisse) è stato vittima, come Pietro Cavallotti. «Non mi ha fatto piacere vedere le immagini del suo arresto - ha dichiarato al TgR -. La giustizia penale non deve farsi carico delle aspettative di una popolo sempre più affamato di carcere e sempre meno disposto a chiedersi quali siano i veri problemi che si nascondono dietro i titoli dei giornali».