L’INTERVISTA AL CORRIERE

La prima e sinora unica intervista rilasciata da Mario Draghi da quando è presidente del Consiglio è un manifesto politico rivolto ai partiti della sua maggioranza più che ai lettori. INTERVISTATO DAL CORRIERE DELLA SERA

IL CAPO DEL GOVERNO PRESENTA UN MANIFESTO POLITICO RIVOLTO ALLA SUA MAGGIORANZA

Il presidente del Consiglio ribadisce la necessità di «governare» come chiesto dal Colle

La prima e sinora unica intervista rilasciata da Mario Draghi da quando è presidente del Consiglio è un manifesto politico rivolto ai partiti della sua maggioranza più che ai lettori e al pubblico in generale. Draghi dissipa eventuali timori, se mai ce ne fosse stato bisogno: non entrerà in politica se non in veste di «semplice elettore». Non rappresenta una minaccia futura per gli interessi di nessuno. Indica lui stesso l'opportunità di considerare esperienze come il governo da lui guidato una eccezione e non la norma: «Bisognerebbe che i presidenti del Consiglio fossero tutti eletti. È bene essere consapevoli che queste sono situazioni d'emergenza, particolari». Come rassicurazione è anche più incisiva dell'impegno di fatto a non candidarsi. Se le circostanze non saranno tali da costituire una nuova «situazione d'emergenza» i partiti torneranno padroni del campo, senza dover fare i conti con l'ipotesi di un nuovo governo Draghi anche nella prossima legislatura.

Ma calmate così, almeno nelle sue intenzioni, le paure delle forze politiche, Draghi non rinuncia al suo punto fermo, consegnato a un passaggio apparentemente secondario nella lunga intervista pasquale concessa al Corriere della Sera: «Ho intenzione di governare, affrontare le emergenze secondo il mandato che il presidente della Repubblica mi ha dato lo scorso febbraio. Questo è decisivo». Impossibile immaginare un pronunciamento più esplicito: il mandato consegnato a Draghi da Sergio Mattarella oltre un anno fa era, di fatto, un mandato commissariale. Draghi non era chiamato a fare il premier politico, il mediatore tra diversi interessi delle forze di maggioranza, il primus inter pares. Il suo compito era decidere e guidare con un ruolo e con poteri che eccedono quelli soliti dei capi di governo. La fase è cambiata, il richiamo delle elezioni vicine si fa per i partiti sempre più imperioso. La richiesta di cambiare metodo e abbandonare proprio la gestione “commissariale” risuona sin dal varo della legge di bilancio dell'anno scorso e si è moltiplicato dopo la rielezione di Mattarella alla presidenza, evento che nella fantasia dei leader doveva segnare un punto di svolta.

La risposta di Draghi è chiara e probabilmente definitiva: non è e non sarà così. Il mandato non cambia, lo stile del commissario- premier neppure. In fondo anche riconoscere che questa situazione “particolare” e non desiderabile porta, per altra via, alla stessa conclusione. È bene che si torni a una normalità nella quale Draghi non sarà certamente in campo come leader politico e auspicabilmente neppure come “risorsa della Repubblica” ma fino a quel momento le forze politiche devono rassegnarsi a indossare quella che «sarà pure una camicia di forza ma quello che abbiamo realizzato insieme è moltissimo».

Non è ciò che i partiti volevano sentirsi dire, con l'eccezione forse della leadership del Pd. Ma d'altra parte la pretesa di non riuscire a cambiare nulla sul Colle ma di ambire lo stesso a una sterzata drastica nelle modalità di governo decise proprio dal vecchio- nuovo capo dello Stato era palesemente contraddittoria, anche senza contare la guerra, imprevisto che prolunga e probabilmente inasprisce un'emergenza altrimenti agli sgoccioli.

Ma quella di Draghi è anche una scommessa forse azzardata. Il grosso dell'intervista il presidente del Consiglio la spende per minimizzare i rischi di una situazione della quale pur riconosce la gravità. La frase sulla scelta tra «la pace e il conidzionatore», spiega infatti, aveva anche lo scopo di chiarire che quello è quanto si rischia: non una recessione epocale. Se messa a paragone con l'allarme estremo destato in Germania dall'eventualità di embargo sul gas russo, la ostentata tranquillità del premier italiano qualche dubbio inevitabilmente lo suscita. Draghi è evidentemente convinto che il danno si possa fortemente limitare, non andando oltre un rallentamento della crescita prevista e senza che la situazione degeneri in crisi sociale grave. Se i prossimi mesi gli daranno ragione, potrà resistere sulla linea che ha tracciato nell'intervista di Pasqua nonostante i malumori delle forze politiche. Se le cose andranno peggio di così non ci sarà mandato del Colle in grado di tenere a freno la fibrillazione dei partiti.