IL RETROSCENA

Giuseppe Conte ha altre 48 ore di tempo per rimuginare sul comportamento che il Movimento 5 Stelle dovrà tenere nei confronti del governo. La tragedia della Marmolada ha fatto slittare a mercoledì il faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e il suo predecessore. Due giorni in più per riflettere sull’avvertimento di Mario Draghi ( «non sono disposto a guidare un governo con un’altra maggioranza» ), sulla minacce di Enrico Letta e Dario Franceschini ( in caso di crisi si torna al voto e senza alleanza col M5S), sul monito alla responsa-bilità del Colle.

I Quel grande bluff delle urne inscenato per spaventare il timido Conte

La carta delle elezioni anticipate, sventolata in faccia all’ex premier, non sembra credibile

Giuseppe Conte ha altre 48 ore di tempo per rimuginare sul comportamento che il Movimento 5 Stelle dovrà tenere nei confronti del governo. La tragedia della Marmolada ha fatto slittare a mercoledì il faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e il suo predecessore. Due giorni in più per riflettere sull’avvertimento di Mario Draghi ( «non sono disposto a guidare un governo con un’altra maggioranza» ), sulla minacce di Enrico Letta e Dario Franceschini ( in caso di crisi si torna al voto e senza alleanza col M5S), sul monito alla responsabilità di Sergio Mattarella. Per Conte saranno giorni complicati, stretto com’è tra la spinta a uscire proveniente da buona parte del suo partito, e la manovra a tenaglia partita attorno alla sua persona per convincerlo a desistere dai propositi battaglieri. Eppure l’avvocato di Volturara Appula una scelta dovrà farla: tornare nei ranghi o sfidare gli alfieri della stabilità a mostrare le carte? Perché quella tra il leader 5S e i suoi interlocutori somiglia più a una partita di poker che a un confronto politico. E come spesso accade nel gioco delle carte qualcuno al tavolo bluffa per spaventare l’avversario, indurlo a non “vedere” e prendersi tutto il piatto con una coppia di Jack in mano.

A Conte - che non brilla certo per coraggio politico - l’ingrato compito di decidere se “vedere” o ritirarsi perdendo le fiches già investite. Bisogna leggere il gioco con attenzione ed evitare azzardi allo stesso tempo.

Guardando il tavolo dall’esterno, però, sembra che la carta finora sventolata dagli antagonisti di Conte, quella delle elezioni anticipate in caso di appoggio esterno, non sia una minaccia troppo credibile. E le ragioni sono molteplici. Senza il Movimento 5 Stelle, tanto per cominciare, il governo continuerebbe a poter contare su una maggioranza molto ampia. E l’operazione scissionista portata a termine da Lugi Di Maio serviva proprio a questo scopo: creare una scialuppa spaziosa in grado di contenere un’eventuale collisione con l’iceberg grillino. In queste condizioni sarebbe complicato per il Capo dello Stato giustificare uno scioglimento delle Camere in piena crisi economica e internazionale. Ed è così che si arriva alla seconda e solidissima ragione per allontanare comunque le urne dallo scenario: come potrebbe Draghi, sostenuto da un così ampio schieramento, abbandonare la plancia di comando mentre la guerra brucia nel cuore dell’Europa, con la crisi energetica da governare, con l’inflazione che rischia di travolgere le economie europee, con il Pnrr da gestire, con una legge di Bilancio da blindare a ottobre e con la pandemia che ha ripreso a mordere? La caratura internazionale del premier, gli impegni sottoscritti con la Nato e le iniziative messe in campo a Bruxelles fanno propendere per l’idea che difficilmente a un “capriccio” di Conte il presidente del Consiglio potrebbe rispondere con un “controcapriccio” che esporrebbe il Paese in una fase così delicata.

La minaccia delle elezioni anticipate, inoltre, è già stata utilizzata parecchie volte nel corso di questa legislatura ( quella attuale è la terza) rivelandosi sempre un’arma spuntata. È accaduto dopo il Conte uno, prima che Matteo Renzi mettesse in scena una sorprendente mossa del cavallo per far nascere una nuova maggioranza, è accaduto dopo il Conte due, quando il Pd si diceva indisponibile a sostituire un premier con un altro, e si ripete anche oggi, nell’ultimo e delicatissimo scorcio di legislatura.

Ma a ben guardare anche l’altra carta annunciata, quella più di ogni altra terrorizza il leader grillino, la fine dell’alleanza giallo- rossa, è tutta da verificare. Chiaramente molto dipenderà dalla legge elettorale, ma a sistema vigente davvero il Pd potrà fare a meno del Movimento 5 Stelle per vincere le elezioni? Per quanto ridimensionato, il partito di Conte resta la gamba più grossa, dopo i dem, del campo largo teorizzato da Letta. Le varie sigle del “centrismo draghiano” continuano a vagare alla deriva della politica italiana, con troppi comandanti a bordo e per il momento nessuna rotta. Difficilmente il segretario del Pd potrebbe pensare di competere col centrodestra senza un pezzo determinante delle coalizioni, che nelle previsioni più cupe vale almeno il 10 per cento. Del centrodestra, invece, Letta potrebbe prendere a prestito il modello, che pur tra mille difficoltà, tiene insieme partiti di governo e d’opposizione. Certo l’operazione nel centrosinistra sarebbe molto più complessa da portare a casa, ma davanti al rischio di perdere le elezioni, anche i dem potrebbero cambiare idea.

La partita, insomma, è ancora tutta aperta. E il primo che scopre il bluff dell’altro può vincere.