Il Palamaragate ha rappresentato per la magistratura ciò che Tangentopoli rappresentò per la politica? E poi: gli accertamenti sulla degenerazione del sistema delle correnti erano finalizzati esclusivamente alla ricerca di un capro espiatorio? Il tema delle «ricadute della vicenda “Palamara” sulla disciplina dei magistrati e sul sistema correntizio» è stato affrontato da Giovanni Verde, uno dei massimi civilisti del Paese, durante un seminario tenutosi nelle scorse settimane presso la Scuola superiore della magistratura di Scandicci.

La relazione di Verde, che dal 1998 al 2002 ricoprì anche l’incarico di vice presidente dell’organo di autogoverno delle toghe, è la prima su questo tema e contiene diverse verità scomode, e certamente non gradite, nei confronti della magistratura associata. L’ex vice presidente del Csm, infatti, ha sostenuto con pochi e semplici concetti che nella vicenda Palamara, o meglio nelle iniziative disciplinari promosse dalla Procura generale della Cassazione ed avallate prima da Palazzo dei Marescialli e poi dalla Corte di Cassazione, utilizzando le chat dell’ex presidente dell’Anm, si sono consumate una serie di illegittimità ai danni di coloro poi oggetto di sanzione.

Verde, in particolare, ha sottolineato ai giovani magistrati che il ministro della Giustizia si è rivelato nelle vicende disciplinari «un inutile ingombro ed è stato relegato in una posizione marginale» essendo stata rimessa nei fatti al Procuratore generale della Cassazione l’iniziativa disciplinare, mossa «da fattori emotivi, che in qualche misura hanno lambito anche la più alta carica dello Stato». «E gli stessi organi giudicanti (non la sola Sezione disciplinare del Csm ma anche e soprattutto Corte di Cassazione) - ha aggiunto Verde - si sono accodati, usando particolare severità nei loro giudizi e adottando soluzioni interpretative nelle quali è evidente lo “sfavor” nei confronti del magistrato inquisito».

Dopo tale considerazione, Verde ha ricordato che le chat, non penalmente rilevanti ai fini del reato di corruzione per il quale Palamara era indagato, dovevano essere restituite. Dice Verde: «La Procura di Perugia, insomma, aveva un obbligo preciso: quello di restituire la corrispondenza non sequestrabile e di impedirne comunque l’utilizzazione»,

non contenendo «notizie rilevanti per il processo penale… e duole leggere decisioni della Corte di Cassazione di diverso avviso; quella stessa Corte che non perde occasioni per ricordarci la Costituzione». Ma le considerazioni di Verde si spingono oltre, segnalando che dal 2006 incorre in responsabilità disciplinare il magistrato che divulga, anche se per sola negligenza, atti che non possono essere pubblicati (qui: utilizzati), tanto più che il “discredito” per la magistratura è derivato non da conversazioni, destinate a rimanere nel chiuso ambito di chi vi aveva partecipato, ma dalla loro diffusione.

Il disciplinare, in altri termini, avrebbe dovuto perseguire proprio i pubblici ministeri di Perugia e non certo coloro che con Palamara si erano scambiati messaggi privati. Ulteriore considerazione ha infine riguardato il possibile esito dei giudizi che i magistrati sanzionati esperiranno davanti alla Cedu per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione che tutela la riservatezza della corrispondenza, poiché vi è da dubitare che la «asserita necessità di un controllo più penetrante sulla correttezza dei magistrati possa giustificare il sequestro di materiale penalmente irrilevante».

In tali chat, come noto, i magistrati non discutevano di procedimenti o controversie giudiziarie ma solo di nomine. Verde, dunque, si è dichiarato critico per ciò che riguarda l’utilizzazione dei “documenti” indebitamente sequestrati per mettere sotto processo disciplinare e per condannare alcuni magistrati, manifestando perplessità per «il criterio di giudizio adoperato, che mi sembra espressione di un “furore punitivo”, spiegabile soltanto con il desiderio di riacquistare nei confronti della pubblica opinione una credibilità perduta». Dopo Tangentopoli, ed è la conclusione del ragionamento di Verde, i partiti tradizionali sono entrati in sofferenza. Dopo il Palamaragate i magistrati potrebbero preferire al Csm solo chi cura i propri «bisogni», «aspettative» ed «interessi».