Qualcuno la chiama “campagna elettorale a mezzo procura”. Ed anche se ogni indagine ha i suoi tempi, gli avvisi di garanzia piombati sulla testa di candidati più o meno quotati a ridosso degli appuntamenti con le urne sono da sempre oggetto di dibattito politico, con buone dosi di ipocrisia e scarsa autocritica. Qualunque sia il livello della contesa - dalle Comunali alle Regionali, fino alle Politiche e alle Europee - nessuna competizione, in Italia, è stata risparmiata dalla mannaia delle procure. Che in alcuni casi, chiuse le urne con l’indagato di turno magari rimasto a casa perché ritenuto “impresentabile”, hanno poi fatto clamorosi passi indietro. Non esiste una sola regione in Italia che non abbia avuto, almeno una volta, un presidente indagato. E a volte, per i politici che hanno ricoperto il ruolo di presidente si sono anche aperte le porte del carcere.

Nel valzer giudiziario dei governatori questa volta è toccato a Giovanni Toti scendere in pista. Ormai alla fine del suo secondo mandato, il governatore della Liguria si è visto piombare la Finanza in casa alle tre di notte con un avviso di garanzia per corruzione, accusa che lo ha fatto finire ai domiciliari. Ma come ricordato su X dal deputato di Azione Enrico Costa, «è troppo lungo l’elenco dei Governatori indagati sbattuti sui giornali con clamore, poi prosciolti o assolti per non prendere con i piedi di piombo le accuse contro Giovanni Toti». Gli esempi, infatti, non mancano. Basti pensare a Vincenzo De Luca, finito sui giornali con l’etichetta “indagato” a due settimane dal voto, in programma a settembre 2020. Un’elezione che i sondaggisti davano già in mano allo stesso De Luca, superfavorito con più di 10 punti di vantaggio sullo sfidante di centrodestra, Stefano Caldoro. La procura di Napoli gli contestava l’ipotesi di abuso d’ufficio, falsità ideologica e truffa, ipotesi che, a pochi mesi dalla rivelazione di Repubblica - nonostante la notizia fosse ancora coperta da segreto -, venne archiviata. L’indagine era in corso da tre anni ma «lo straordinario scoop giornalistico», ironizzò il governatore su Facebook, venne reso pubblico solo a pochi giorni dal voto. Ma come non ricordare Marcello Pittella, ex governatore della Basilicata, finito ai domiciliari con l’accusa di falso e abuso d’ufficio per la presunta Sanitopoli lucana. In quel caso era stato lo stesso giudice per le indagini preliminari a spiegare il proprio tempismo: secondo il magistrato, c’era il rischio di reiterazione dei reati, data l’intenzione di ricandidarsi alla guida della Regione. Elemento, si leggeva nell’ordinanza, che «fa ritenere che continuerà a garantire i suoi favori e imporre i suoi “placet” ai suoi accoliti pur di consolidare il suo bacino clientelare». Pittella, alla fine, è stato assolto, ma per tre anni la sua vita politica è rimasta in sospeso. «La cosa peggiore? - aveva detto al Dubbio - Essere additato come un malfattore, la gogna, anche da parte di quelli che consideravo amici. E poi gli arresti senza prove: come si può in uno Stato di diritto?».

A venti giorni dal voto era toccato anche il governatore leghista Attilio Fontana, accusato di abuso d’ufficio per un incarico al socio di studio Luca Marsico, rimasto senza posto in consiglio regionale. «Vergognosi attacchi all’uomo, all’avvocato, a un sindaco e a un governatore la cui onestà e trasparenza non sono mai state messe in discussione in tanti anni, né mai potranno esserlo oggi o in futuro», aveva tuonato il leader della Lega Matteo Salvini. E anche nel caso del governatore l’inchiesta si chiuse con un’archiviazione, arrivata a marzo del 2020. C’è poi l’ex governatore della Calabria, Mario Oliverio, scaricato dal Pd che approfittò delle indagini sul suo conto per non ricandidarlo: indagato più volte dall’allora procuratore Nicola Gratteri - con un «chiaro pregiudizio accusatorio», secondo la Cassazione che dispose la revoca delle misure cautelari -, è sempre stato assolto dalle varie accuse mosse a suo carico. Nel 2018, però, rinunciò alla ricandidatura per la guida della Regione. Accusato di abuso d’ufficio prima e corruzione dopo per aver favorito un imprenditore per la realizzazione degli impianti sciistici di Lorica, nel cuore della Sila cosentina, Oliverio accusò la procura di agire ad orologeria: «Caratterizzare questa fase immediatamente a ridosso delle elezioni regionali significa condizionare oggettivamente quelle che sono le vicende politiche - commentò all’epoca -. Però se i processi non si fanno se non dopo anni e magari si fissa anche al punto giusto una udienza per condizionare le scadenze, credo che debba fare riflettere ai fini della sostanza democratica». L’ex governatore, ormai allontanato dal suo partito e dalla politica attiva, fu poi assolto due anni dopo perché il fatto non sussiste, stessa formula utilizzata nel 2022 per un’altra accusa, quella di peculato. Ancora in sospeso l’ex governatore della Sardegna Christian Solinas, finito in un’inchiesta per corruzione a poco più di un mese dalle elezioni. La Guardia di finanza, a gennaio scorso, ha eseguito un sequestro cautelare di beni e immobili per un valore di circa 350 mila euro nei confronti suoi e di altri sei indagati per corruzione, tra i quali l’imprenditore Roberto Zedda e il consigliere Nanni Lancioni. Un’indagine, quella, che fu un vero e proprio assist per Giorgia Meloni, che voleva imporre il proprio candidato per la Sardegna. Una scelta che, però, si è rivelata politicamente infausta.