PHOTO
Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti
Un processo alla politica e un attacco feroce allo Stato di diritto. È questa l’impressione che si è fatta largo, trasversalmente, tra i banchi della commissione giuridica del Parlamento europeo in merito al caso Qatargate. Che ora, forse, non fa più paura, al punto da “liberare” gli eurodeputati - addirittura quelli di centrodestra, i primi ad aggredire gli indagati dopo gli arresti - dall’obbligo di dissociarsi pubblicamente dai colleghi coinvolti e manifestare pubblicamente dubbi che sembrano ormai inevitabili.
Illuminanti sono state, in questo senso, le audizioni di mercoledì in Commissione Juri delle eurodeputate del Pd Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti, per le quali a due anni dagli arresti la procura belga ha chiesto la revoca dell’immunità. Di fatto contestando l’attività politica in sé. Un atto d’accusa del quale le due eurodeputate e i loro difensori, peraltro, non hanno potuto nemmeno avere una copia: l’unica “concessione” è stata quella di leggerlo.
Nelle audizioni di mercoledì - coperte da segreto -, a colpire gli eurodeputati della Commissione Juri non è stato solo il contenuto delle accuse, ma soprattutto la loro vaghezza. I deputati hanno ascoltato, interrogato e infine espresso un dubbio tanto netto quanto inquietante: davvero basta questo per colpire un rappresentante eletto e con lui l’Istituzione stessa che rappresenta? L’impressione dominante è che l’impianto accusatorio sia fragile, basato su indizi sfocati e su atti parlamentari perfettamente legittimi, come la partecipazione a una votazione, la firma di un emendamento o persino un viaggio in missione ufficiale.
La prima a parlare è stata Gualmini, assistita dall’avvocato professor Vittorio Manes, che ha risposto punto per punto sugli elementi contestati, apparsi agli stessi colleghi del tutto evanescenti. Come il rapporto con Pier Antonio Panzeri, il “pentito” ritenuto ai vertici della presunta organizzazione criminale costruita per fare favori a Qatar e Marocco, che Gualmini ha incontrato in tre occasioni, tutte conviviali, assieme ad altra gente.
Gualmini ha anche parlato dell’incontro con Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare di Panzeri, visto solo in occasione di una riunione del gruppo S&D per discutere dell’opportunità di aprire il dibattito sul Qatar prima o dopo la missione del Parlamento. Dibattito, peraltro, rispetto al quale Gualmini assumeva una posizione diversa da quella dei colleghi. Infine, l’eurodeputata ha smentito la tesi che Panzeri possa aver favorito la sua nomina a vicecapogruppo di S&D: Panzeri, infatti, era fuoriuscito dal Pd nel 2017, cinque anni prima quella nomina. «Elementi surreali», secondo i presenti in aula, punti che sarebbero stati uniti a posteriori sulla base di una teoria.
Dopo Gualmini sono intervenuti quattro europarlamentari, che hanno posto domande molto perplesse sulle ragioni delle indagini e della stessa richiesta, dimostrandosi «molto preoccupati». Il Parlamento europeo, ha commentato Manes al termine dell’audizione, «dovrebbe arrivare con grandissima attenzione a questa scelta, una scelta di campo molto forte, in quanto determinerà se dare un minimo di tutela allo strumento dell’immunità, che è sì garanzia di autonomia e indipendenza del singolo deputato, ma soprattutto dell’Istituzione - ha evidenziato -. Ma prima e più in alto credo la scelta sia ancora più delicata, ovvero a favore o meno delle garanzie dello Stato di diritto: se sono sufficienti elementi così inconsistenti ed evanescenti per sottoporre non solo un parlamentare, ma anche un comune cittadino al radar della giustizia penale, allora vuol dire che le garanzie dello Stato di diritto sono virtuali e astratte, non concrete. E ci troveremmo più vicino a uno Stato di polizia, in questo caso con l’aggravante dal fatto che il deputato agisce nel pieno esercizio della sua attività politica».
Gualmini e la sua difesa si sono detti del tutto tranquilli, ma la sfida è più grande della vicenda del singolo: «Il Parlamento deve essere consapevole che in questa vicenda sceglie non solo di custodire il suo passato, ma anche il suo futuro e il futuro della sua libertà - ha aggiunto Manes -. In gioco non ci sono solo autonomia e indipendenza del singolo, ma la libertà e l’autonomia dell’edificio democratico europeo e la garanzia della libertà cittadini in uno Stato di diritto».
Non è escluso che la Commissione possa chiedere alla procura di avere elementi più concreti per valutare la posizione delle due eurodeputate: la percezione è, infatti, che allo stato la revoca dell’immunità sia del tutto ingiustificata e improbabile. Il che significa anche che il vento è cambiato all’Europarlamento: nessun intervento, nemmeno tra gli acerrimi nemici del Pd, ha infatti avuto il taglio inquisitorio del passato.
Atteggiamento assunto anche quando è arrivato il turno di Moretti, difesa da Franco Coppi e Roberto Borgogno. L’eurodeputata dem ha risposto punto per punto, affermando di non comprendere le ragioni e i motivi del suo coinvolgimento, dal momento che i suoi contatti con Giorgi sono relativi soltanto all’attività da parlamentare. Un’attività durante la quale, tra l’altro, non ha mai risparmiato critiche pubbliche al Qatar, soprattutto sul tema a lei più caro, cioè quello della tutela dei diritti umani. Inoltre, non sono noti i vantaggi che avrebbe ricevuto in cambio di questa presunta attività di lobbying a favore dei due Paesi esteri.
Ma non solo: sulla base delle dichiarazioni di Panzeri, la procura belga contesta a Moretti di essere stata ospite di un ambasciatore in Marocco, Paese nella quale, però, l’eurodeputata non è mai stata, come verificabile tramite il passaporto, del quale ha depositato copia integrale. Moretti viene anche accusata di essere stata istruita per un voto al quale non partecipò: in quel momento era a colloquio con un funzionario Nato.
Ma come mai la procura belga si è mossa dopo così tanto tempo, nonostante gli elementi siano gli stessi di due anni fa? «È una questione che abbiamo posto anche noi nella nostra memoria - ha spiegato Borgogno - e che anche al legale belga che segue Moretti è apparsa anomala rispetto alle garanzie previste dal sistema giudiziario del Belgio. Questa dinamica rende infatti più difficile l’esercizio del diritto di difesa».
L’idea è che la procura belga possa essere ancora in fase di indagine o che si appresti, al contrario, a chiedere il rinvio a giudizio tentando di coinvolgere quanti più politici possibile.
La palla, ora, passa alla Commissione Juri, che potrebbe decidere anche nel giro di un paio di settimane. Ma potrebbe trattarsi, appunto, di una decisione interlocutoria, in attesa di ricevere maggiori elementi dalla giustizia belga. A patto che esistano.