«Mi venne detto a chiare lettere che Eni non doveva uscire bene dal processo Nigeria». È una bomba quella che Paolo Storari - il pm di Milano ora testimone a Brescia nel processo contro i magistrati Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -, lancia contro i suoi due colleghi. Entrambi sono accusati di rifiuto di atti di ufficio per non aver voluto depositare nel 2021 prove ritenute potenzialmente favorevoli agli indagati del processo per corruzione internazionale Eni-Nigeria, conclusosi con l'assoluzione degli imputati.

«Per me questo era inaccettabile», spiega Storari in aula. «Sono atteggiamenti che io non ho mai avuto in nessun processo. Qualcuno mi dirà che si fa così il pm, ma io non sono abituato, voglio che ci sia massima trasparenza su di me». Nel corso dell’esame e del controesame, Storari ribadisce inoltre la sensazione di una volontà da parte dei titolari dell’inchiesta - dell’allora procuratore capo Francesco Greco e dell’aggiunto Laura Pedio - di rallentare le indagini su Vincenzo Armanna, testimone nel processo Eni-Nigeria.

Un calunniatore, secondo Storari, ma non per i suoi colleghi che scelsero di non divulgare il contenuto delle chat di Armanna e ritenute sfavorevoli alla tesi della procura. Chat acquisite fuori dalla «legittimità procedurale», secondo la Procura allora guidata da Greco. E a tal proposito Storari precisa: «Ci si trincera dietro a un formalismo (cioè come si sono acquisite le chat, ndr), lo trovo vergognoso. Il tema è se hai degli elementi a favore tu li devi portare a conoscenza delle difese, comunque tu abbia preso» quel telefonino, scandisce il pm.

Ma che interesse poteva avere la Procura a portare a casa delle condanne così eccellenti? C’erano ragioni extra processuali a spingere gli inquirenti a forzare la mano? Sono questi i quesiti posti al testimone dal presidente del collegio Roberto Spanò. «Io ho parlato solo con Pedio (l’altra pm che svolgeva le indagini) e lei mi disse: “Paolo, dobbiamo fare squadra, la procura non può permettersi di perdere il processo”», racconta sempre Storari. «I fatti sono che la procura si è spesa molto. Io dicevo che se la procura fosse uscita dicendo di aver scoperto che Armanna era un calunniatore avremmo dato la sensazione di una procura indipendente e trasparente». E sulle possibili ragioni esterne che avrebbero potuto spingere i pm a forzare la mano, Storari aggiunge: «C’era il tema del terzo dipartimento (guidato da De Pasquale e di cui faceva parte lo stesso Storari assieme a Pedio, ndr) che suscitava un certo malumore perché si diceva che si occupasse di pochi fascicoli e veniva chiamato il “dipartimento viaggi-vacanze”».

Il testimone Storari racconta anche dei suoi rapporti con i colleghi, di come veniva considerato «corporativo» col presidente del collegio del processo Eni-Nogeria Marco Tremolada. E riferisce di una domanda «che avrebbe dovuto essere fatta ad Amara durante il processo sulle interferenze della difesa di Eni nei confronti dei magistrati milanesi». «Questo significava che Amara si sedeva e venivano infangati sul nulla coram populo il presidente della sezione, un avvocato milanese molto stimato e un ex ministro della Giustizia. Questo voleva dire minare i rapporti col Tribunale, si sa come funziona il processo mediatico». Non solo, «quando gli dissi nel suo ufficio che stava emergendo che Armanna e Amara erano due calunniatori, De Pasquale replicò che stavo creando un clima sfavorevole al processo, che lo volevo boicottare». Ma Storari dice di avere cercato e non trovato dei «riscontri» sulle «chiamate in correità» dei vertici di Eni da parte di Armanna e Armanna, una figura considerata cruciale a sostegno della tesi della procura. «C’è sempre stato un atteggiamento protettivo nei confronti di Armanna», insiste Storari, convinto che se anche avesse «portato la prova della pistola fumante, non sarei stato ascoltato».

La prossima udienza è stata fissata per il 18 gennaio 2024 quando testimonierà, tra gli altri, il giudice Marco Tremolada, che ha emesso il verdetto assolutorio su Eni-Nigeria. La corte presieduta dal giudice Roberto Spanò ha fissato udienze fino al 27 giugno quando potrebbe arrivare il verdetto.