Ci sono due diverse tensioni dialettiche, nella maggioranza, in materia di giustizia. Più conosciuta e prevedibile la prima: vede schierati da una parte i due partiti che prediligono il modello “legge e ordine”, cioè Fratelli d’Italia e Lega, e dall’altra Forza Italia, la sola voce che possa definirsi schiettamente garantista. Poi c’è un’altra aporia, ed è trasversale: contrappone i magistrati che fanno parte degli uffici o delle commissioni

ministeriali a deputati e senatori di tutto il centrodestra. E qui la questione si fa più complicata. Perché spesso le proposte messe a punto nel dicastero di Carlo Nordio sono diverse, e distanti, dalle idee di tutti partiti di maggioranza. È il caso della prescrizione. 

Materia che sembrava finita nell’oblio e che è improvvisamente riemersa.

Premessa: la riforma della prescrizione rientra fra quei dossier che vedono poche differenze nell’alleanza di governo. Era stato, tanto per dire, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, considerato il più intransigente alfiere, nel centrodestra, del “rigorismo” in ambito penale, a chiarire, prima delle Politiche di settembre 2022, che «il ritorno alla prescrizione sostanziale è questione di civiltà giuridica», e che «la figura dell’imputato a vita è un’idea abnorme». Tanto che in commissione Giustizia alla Camera, subito dopo l’avvio della legislatura, erano state incardinate diverse proposte di legge della maggioranza, oltre a una del deputato di Azione Enrico Costa, tutte proiettate verso l’addio alle riforme di Bonafede e Cartabia, col ritorno quindi a un regime di prescrizione sostanziale valido in tutti i gradi del processo. C’era solo da chiedersi perché, su un dossier relativamente semplice e privo di sgranature all’interno del centrodestra, Montecitorio non riuscisse ad avviare subito la discussione. In parte la risposta è nella precedenza assegnata alle proposte sull’abuso d’ufficio, scelta bizzarramente vanificata dall’assegnazione all’altra commissione Giustizia, quella del Senato, del ddl Nordio, che abolisce appunto il 323 del codice penale.

Fatto sta che in piena estate, a lavori parlamentari fermi, proprio il guardasigilli aveva riaperto il confronto sulla prescrizione con un’ipotesi spiazzante: ripristinarla sì nella sua versione “sostanziale”, ma con una modifica radicale, cioè in modo da far decorrere i termini non più dal momento in cui sarebbe stato commesso il delitto ma da quando la notizia di reato perviene al pubblico ministero.

Una rivoluzione. Che lascerebbe alle Procure un potere gigantesco. Sarebbe in tal modo il pm, infatti, a far partire di fatto il timer della prescrizione. E sul rischio che un potere simile venga esercitato con eccessivo arbitrio era intervenuta addirittura la riforma penale di Cartabia, che ha assegnato al gip il potere di verificare la tempestiva iscrizione a registro degli indagati, per evitare che un’eccessiva “libertà” degli inquirenti finisca per prolungare in modo improprio i termini massimi di durata delle indagini. Sarebbe assai singolare se, a fronte di un rafforzamento del controllo giurisdizionale sugli uffici di Procura, proprio un guardasigilli “nemico” degli abusi come Nordio spostasse di nuovo l’equilibrio a favore dei pubblici ministeri. Ma è chiaro che una proposta simile nasce anche nelle stanze di via Arenula, dal punto di vista cioè dei magistrati che monopolizzano tutti gli uffici del dicastero della Giustizia, a cominciare dal Legislativo. Si sarebbe trattato di un caso di riforma se non “dettata”, quanto meno idealmente ispirata dalla magistratura ( da cui lo stesso ministro, d’altronde, proviene).

Ad agosto, a fronte dell’ipotesi avanzata da Nordio, soprattutto Forza Italia aveva scavato una trincea, per prepararsi a respingere una così clamorosa modifica della prescrizione. Si trattava, è evidente, di contrapporre al punto di vista dei magistrati che affollano uffici e commissioni di via Arenula, quello dei parlamentari che rappresentano il centrodestra nelle commissioni di Camera e Senato, e che guarda caso sono nella quasi totalità avvocati: dal meloniano Ciro Maschio,

che presiede la commissione Giustizia di Montecitorio, al suo vice Pietro Pittalis, di Forza Italia, agli altri deputati- penalisti azzurri Tommaso Calderone e Annarita Patriarca, ai senatori della Lega Manfredi Potenti, di FdI Sergio Rastrelli e di FI Pierantonio Zanettin. Tutti convinti che in ogni caso la prescrizione debba decorrere dal momento in cui sarebbe stato commesso il reato. Al di fuori di questo schema, l’istituto perderebbe infatti una delle sue funzioni prevalenti: tutelare il diritto della persona a non vedersi processata per fatti che risalgono a un’epoca lontanissima della propria vita, principio legato sia al generale diritto all’oblio sia al rischio che, dopo lustri o decenni, il diritto di difesa ( la possibilità di rintracciare testimonianze, innanzitutto) sia fatalmente compromesso.

È anche in quest’ottica, dunque, che va letta la mossa, comunque clamorosa, compiuta due giorni fa dal relatore delle proposte sulla prescrizione, Enrico Costa, e da tutti i deputati di maggioranza in commissione Giustizia: azzerare tutto e adottare, come testo base, la proposta del forzista Pittalis, che torna alla legge Cirielli. Un reset che, come spiegato da diversi esponenti del centrodestra, non prelude a un effettivo ripristino della riforma berlusconiana ma a un lavoro che, con gli emendamenti, costruirà un nuovo modello di prescrizione sostanziale, forse non lontanissimo dalla legge Orlando del 2017 ma certamente di “rottura” rispetto alle riforme di Bonafede e Cartabia. C’è questo, certo. Ma c’è anche la chiara manifestazione di un no rispetto all’ipotesi estiva di Nordio, cioè a un timer processuale posticipato alla “scoperta” del reato da parte del pm. Idea che sicuramente intriga tanti magistrati, a cominciare da quelli distaccati a via Arenula. Ma contro la quale i parlamentari- avvocati del centrodestra, di Azione e di Italia viva hanno, comprensibilmente, alzato una barriera preventiva.