Solo l’articolo 1 ha più di mille commi. C’è voluto dunque il tempo necessario agli specialisti perché qualcuno si accorgesse che al comma 469 del primo articolo, la legge di Bilancio per il 2018 approvata prima di Natale reca una piccola rivoluzione per le carriere dei magistrati. In particolare per quelle dei fortunati che vengono eletti, come “togati”, al Consiglio superiore della magistratura. Ebbene sì, perché il ricordato comma cancella il divieto per i consiglieri uscenti di assumere incarichi direttivi per l’intero anno successivo alla data di conclusione del mandato. Non solo. La stessa micro– disposizione, illeggibile nella sua astrattezza codicistica, rimuove un’ulteriore, importante preclusione. Quella per cui le toghe che hanno appena concluso il loro quadriennio a Palazzo dei Marescialli non potevano assumere incarichi fuori ruolo.

Due micro– bombe che rischiano di scatenare infinite polemiche sulla forza del “potere correntizio”. E anche sullo status di consigliere superiore, che da servizio rischia di trasfigurare sempre più in un pericoloso privilegio, da dividere tra pochi accoliti di un ristretto circuito. Vediamo perché.

Intanto la tecnica normativa merita una breve premessa. La norma come detto è irriconoscibile ai non esperti di ordinamento giudiziario. Recita così: “Al secondo comma dell’art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, il terzo e il quarto periodo sono soppressi”. Adesso, non per associarsi al coro un po’ ebete dell’antipolitica, ma quanti saranno, sui 950 parlamentari che hanno approvato la Manovra, quelli che hanno capito di che si trattava al momento di pigiare il bottone? Forse nessuno, forse il solo parlamentare proponente, o addirittura nemmeno lui. In ogni caso, il decreto presidenziale di cui si tratta non è altro che la disposizione attuativa della legge che istituì il Csm, esattamente sessant’anni fa ( e anche la ricorrenza fa un po’ rabbrividire).

L’articolo 30 di quel “dpr” regola il collocamento fuori ruolo dei magistrati eletti al Csm, il loro ricollocamento in ruolo e il divieto appunto di ricevere pro- mozioni o incarichi extragiurisdizionali poco dopo essere rientrati in sevizio. A dire la verità la norma del 1958 prevedeva un periodo minimo di decantazione di due anni. Poi un decreto dell’estate 2014, il numero 90, ridusse quel cuscinetto a un anno soltanto, sempre con un codicillo misterioso e meramente “alfanumerico”. Ora è sparito pure quell’annetto di naftalina. Tutti gli ex togati sono potenzialmente nominabili a capo di una Procura o a direttori generali di un ministero il giorno dopo essere usciti da Palazzo dei Marescialli. Un po’ troppo. Perché? Due motivi almeno, suggeriti da altrettanti magistrati interpellati dal Dubbio.

“Intanto”, segnala un giudice del lavoro, “si rischia di rafforzare ancor di più il clientelismo elettorale. I togati del Csm prossimi a concludere il loro quadriennio fanno di solito campagna elettorale per qualche successore, della loro stessa corrente. Lecito, per carità. Ma è purtroppo sperimentato che spesso questi successori sono legati al loro predecessore– mentore da un vincolo di cooptazione. Se quindi subito dopo essere stati eletti al Csm possono addirittura nominare qualche togato della consiliatura precedente al vertice di una Procura o alla presidenza di un Tribunale, è plausibile che gli uscenti tenderanno a scegliere con cura e secondo un ferreo principio di fedeltà coloro ai quali cedere il testimone. Sapranno infatti di poter essere ricambiati, e ora sapranno anche che non ci sarà più quell’annetto di sbarramento capace magari di attenuare il senso di gratitudine…”. Secondo il magistrato, “il meccanismo di cooptazione in tal modo rischia di diventare ancora più patologico. E l’autonomia e indipendenza dei magistrati rischiano a loro volta di andare a farsi benedire”.

Raionamento non astruso. A cui si somma quello di un pm di una Procura del Nord, sconcertato anche dall’altro risvolto del “commettino” infilato in Manovra, quello sugli incarichi fuori ruolo. “Ma sì, certo”, commenta con amara ironia, “ma perché mai un consigliere dovrebbe rimettersi a lavorare? Facciamolo subito capo di qualcosa: dopo aver governato la nave dovrà pur mettere a frutto la propria eccellenza, in uffici bisognosi di chi sappia scrivere circolari, non certo provvedimenti giudiziari…”. Battuta successiva: “A maggior ragione, meglio un bell’incarico in un ministero: si dovessero sfibrare, nell’ascoltare la domanda di giustizia dei cittadini!... ”. Battuta finale: “Molto interessante la disposizione: consente di capire quali nomine stanno per arrivare”. E qui forse la malizia è eccessiva: a scrivere quel comma non sono stati certo i togati uscenti. E forse, anzi, sarà difficile per loro beneficiare della norma, per questioni di opportunità. Ma certo, chi l’ha ideata potrebbe non aver reso un buon servizio alla causa dei magistrati.