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LEONARDO BECCHETTI
Professor Becchetti, è fiducioso sul raggiungimento di un accordo sul tetto al prezzo del gas?
Il price cap può essere imposto in tre modi: o lo paga la Russia, o lo paga il governo o lo pagano le aziende energetiche. Che lo paghi la Russia è un po’ complicato, perché siamo noi che abbiamo più da perdere in questa partita mentre Mosca, come sta già facendo, potrebbe minacciare di chiudere il rubinetto del gas. Chiaramente il nostro potere contrattuale sarebbe più forte se riuscissimo a esercitarlo a livello europeo, ma come abbiamo visto l’interesse olandese è diverso da quello degli altri paesi perché sta avendo proventi finanziari importanti dalla borsa di Amsterdam, dove si scambia il gas.
Rimangono dunque lo Stato e le imprese.
Che paghi lo Stato è difficile per questioni di bilancio pubblico, anche se lo Stato ha già speso quasi 50 miliardi di euro. Che paghino le imprese è ugualmente complicato, perché tassare gli extraprofitti vuol dire tassare i ricavi e questo crea il contenzioso tale per cui dei dieci miliardi di entrate previste dallo stato ne è arrivato solo uno.
E quindi come se ne esce?
Si poteva aprire con rapidità una quarta via, che è quella di agevolare il passaggio alle fonti rinnovabili sia delle famiglie che delle imprese, con la nascita delle comunità energetiche e con incentivi alle aziende per installare pannelli solari sui tetti. Chi lo ha fatto sta riuscendo a contenere il costo delle bollette.
Molti ne parlano però come di una soluzione a medio e lungo termine, mentre qui bisogna intervenire nel giro di pochi mesi, forse settimane.
Per mettere un pannello solare sopra un azienda ci vogliono due mesi, mentre per sfruttare un giacimento nel Mediterraneo o aprire una centrale nucleare ci vogliono cinque anni. Poi certo si può anche mettere un price cap immediato pagando il costo con le tasse sugli extraprofitti, ma servirebbe un braccio di ferro. Forse il governo può arrivare a questo risultato per le proprie partecipate, che però sono solo una parte delle aziende di cui stiamo parlando.
Eppure stiamo riuscendo a ridurre la dipendenza dal gas russo, attraverso nuovi contratti con Algeria, Azerbaigian e comprando Gnl dal Nordamerica che deve poi essere convertito con i rigassificatori: è questa la strada giusta?
Nell’immediato occorre diversificare e possiamo farlo anche acquistando gas da altre parti come abbiamo fatto con Algeria e Azerbaigian, sempre che questi paesi poi si dimostrino migliori della Russia. Ma la malattia del paese è guardare solo al brevissimo termine. I 50 miliardi usati per aiutare gli italiani a pagare le bollette potevano essere usati prima per far diventare quegli stessi italiani dei produttori di energia.
Si potrebbe cominciare a farlo ora o è già troppo tardi?
Occorre iniziare subito e cominciano a esserci notizie di aziende importanti che installando pannelli nei capannoni soddisfano il 30 per cento del proprio fabbisogno. La stessa cosa stanno facendo alcuni impianti termali. Tra l’altro questo ci porta avanti anche sul fronte della transizione ecologica e della crisi climatica, che sono l’altra faccia della medaglia.
In tutto questo c’è anche il problema dell’inflazione: in che modo questo è collegato alla crisi energetica?
La ripresa dell’inflazione è causata dai prezzi di gas e petrolio che si sono impennati a partire dall’estate del 2021, quindi prima della guerra. La causa iniziale è stata la fine della parte più dura della pandemia con la conseguente ripresa dell’economica mondiale. Poi è arrivata la guerra, che in Europa sta avendo effetti devastanti. Se noi guardiamo il prezzo del gas ad Amsterdam e lo paragoniamo con Stati Uniti e Giappone, vediamo una differenza enorme, spiegata dalla dipendenza dei paesi europei dal gas russo.