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IL RETROSCENA
È giusto o no parlare di “pericolosità” in merito ai quesiti referendari sui quali gli italiani saranno chiamati a esprimersi il prossimo 12 giugno? A dieci giorni dal voto, è su questo punto che si sta interrogando nelle ultime ore il Pd. LA CONSULTAZIONE POPOLARE DIVIDE IL PARTITO DI LETTA
È giusto o no parlare di “pericolosità” in merito ai quesiti referendari sui quali gli italiani saranno chiamati a esprimersi il prossimo 12 giugno? A dieci giorni dal voto, è su questo punto che si sta interrogando nelle ultime ore il Partito democratico, nel quale convivono anime diverse sia sulla contrarietà o meno ai referendum sia, appunto, sulla loro presunta “pericolosità”.
A parlare apertamente del tema è stata ieri la capogruppo dem alla Camera, Deborah Serracchiani, spiegando che «questi quesiti non hanno nulla a che fare con la riforma e non risolvono i problemi della giustizia, primo tra tutti quello della durata ragionevole dei processi». Per questo, ha proseguito, «ci siamo espressi per il no, pur lasciando libertà di scelta e chiedendo agli italiani di andare a votare, perché riteniamo che la riforma della giustizia si debba fare in Parlamento. Per poi ragionare sul fatto che «due terzi della riforma della giustizia sono stati già fatti e la riforma del Csm è stata già approvata alla Camera e sarà al Senato dal 14 giugno». Infine, la stilettata. «I quesiti, se approvati, creano maggiori problemi che soluzioni», ha concluso.
Una linea condivisa dai vertici del partito, a partire dal segretario Enrico Letta, ma che alimenta il dibattito interno tra i fedeli a questa posizione e gli “eretici”, pronti talvolta a votare a favore di alcuni quesiti, talaltra a esprimere un Sì convinto su tutti.
«I temi della giustizia sono fondamentali e imporranno comunque un intervento del Parlamento - ha detto il senatore dem Andrea Marcucci penso alle drammatiche e persistenti percentuali sulla carcerazione preventiva: tra i quesiti, il più chiaro è sicuramente quello che prevede la separazione delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri». Ma per Marcucci è «rilevante» anche il referendum sulla legge Severino, «con l’ingiusta sospensione per gli amministratori, in assenza di una condanna definitiva».
Su questi due temi, dice, «voterà convintamente Sì».
Favorevole a tre Sì è anche Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato dem, che cerca di dare una spiegazione alla linea del Nazareno. «I dubbi della segreteria sono basati sui due referendum che non c’entrano con la legge Cartabia, cioè quello che riguarda la legge Severino e quello sulle misure cautelari», commenta Ceccanti. «Per quanto riguarda gli altri, francamente è difficile parlare di “pericolosità”, viste le norme che abbiamo già votato - continua il deputato - sotto questo punto di vista il ragionamento non tiene, ma lo comprendo in una logica di “pacchetto” perché è difficile per un grande partito dare ai propri elettori orientamenti differenziati sui questi».
Per poi puntualizzare che «sin dalla prima direzione Letta ha parlato soprattutto contro Severino e misure cautelari», specificando che non ci sono mai state parole dure contro gli altri referendum. «Ma spiegare perché occorre votare Sì ad alcuni e No ad altri è fondamentale - chiosa Ceccanti - non possiamo cedere alla semplificazione ma cercare di fare comprendere anche le complessità».
A dare manforte al ragionamento di cui sopra è il capogruppo del Pd in commissione Giustizia al Senato, Cesare Mirabelli. Il quale sostiene la linea della segreteria ma specificando che la “pericolosità” dei quesiti è da attribuire più ad alcuni che ad altri. «Io considero sbagliati e pericolosi i quesiti sulla Severino e sulle misure cautelari perché, soprattutto quest’ultimo, avrebbe effetti davvero negativi anche in termini di sicurezza delle vittime dei reati», dice Mirabelli. Ma il senatore dem va oltre e spiega perché, almeno in parte, sia da considerare pericolosa politicamente anche un eventuale vittoria del Sì sugli altri quesiti. «L’unico pericolo che vedo è che con un voto favorevole si rischia di dover ricominciare da capo un lavoro che ha già dato i suoi frutti». Un lavoro, aggiunge Mirabelli, «che mi pare abbia portato alla Camera a una votazione quasi unanime sulla legge Cartabia, che reputo una buona legge e comunque la migliore legge che questo Parlamento potesse fare».
Al momento, a favore di tutti quesiti o di alcuni di essi si sono schierati sia esponenti di Base riformista, dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini a Luca Lotti, sia rappresentanti dei giovani Turchi di Matteo Orfini, fino ai grandi saggi del partito, da Goffredo Bettini a Michele Salvati. Per non parlare dei sindaci dem in prima fila soprattutto per il Sì al quesito sulla Severino, dal primo cittadino di Bergamo, Giorgio Gori, a quello di Pesaro, Matteo Ricci, fino a quello di Torino, Stefano Lorusso. La partita dei referendum, in primis dentro al Pd, è tutt’altro che chiusa.