Il primo a uscire dal seminato bellico è il leader di Podemos Pablo Iglesias

Sommersa dal clamore dei media in assetto di guerra, una posizione diversa da quelle ufficiali inizia a serpeggiare nella politica italiana. È in concreto quella alla quale ha dato voce tra i primi il leader di Podemos Pablo Iglesias. L'invio di armi all'Ucraina, sostiene Iglesias, non solo non è una soluzione ma neppure aiuta a raggiungere quell'obiettivo. È una domanda chiave. Se gli aiuti militari avessero una chance di consegnare la vittoria agli ucraini, come nel caso proprio delle armi negate alla Repubblica dalle pavide potenze occidentali nella Guerra civile spagnola, la scelta delle potenze occidentali avrebbe un senso. Non essendo quella possibilità neppure lontanamente realistica, secondo Iglesias come secondo i pacifisti che hanno manifestato sabato a Roma, è invece insensata e anzi controproducen-te. Induce infatti a proseguire uno scontro militare che può essere vinto dall'Ucraina solo nel caso di un'entrata in guerra dei Paesi Nato. Cioè con una guerra mondiale che molto probabilmente sarebbe combattuta anche con le armi nucleari. Di qui la necessità di affidare la soluzione della crisi alla diplomazia invece che alla forza.

È questa la linea ' eretica' che si sta diffondendo in vaste aree della maggioranza. La richiesta, in concreto, di avviare subito una vera e complessiva iniziativa diplomatica per ottenere prima il cessate il fuoco, poi la soluzione negoziata della crisi. Sulla carta è quello che vogliono tutti. In realtà le cose stanno diversamente. È difficile credere che gli strateghi della Nato e del Pentagono, o i capi dei governi degli Usa ed europei, siano meno competenti ed esperti del leader di Podemos e si illudano invece di vedere l'Ucraina vincente sul terreno delle armi. Neppure si può credere che si augurino un avvitarsi a spirale dell'escalation che comporterebbe non solo enormi rischi, ma anche qualche spiacevolissima certezza: quella ad esempio di una crisi economica pesantissima e molto lunga.

La spiegazione della strategia bersagliata da Iglesias e dai pacifisti la si può probabilmente leggere tra le righe di quell'intervento di Mario Draghi nel quale il premier diceva di «non avere l'impressione sia già il momento del dialogo». È una frase a doppio taglio. Significa che Putin non è ancora disposto a trattare ma anche che l'occidente, a propria volta, preferisce posticipare l'avvio di una vera trattativa. Perché entrambe le parti in causa, e per parti s'intende qui l'occidente non solo e non tanto l'Ucraina, vogliono arrivare a quel tavolo con la bilancia che pende a loro favore.

La Russia spera di farlo con l'Ucraina conquistata. Nato, Usa e Ue hanno dunque tutto l'interesse a rallentare quanto più possibile la vittoria russa armando l'Ucraina non nella prospettiva di vederla vittoriosa ma solo in quella di farla resistere più a lungo. L'occidente spera di arrivare a quel tavolo con una Russia messa con l'acqua alla gola dalle sanzioni e ha dunque bisogno di tempo. Non solo perché l'effetto delle sanzioni non sarà immediato: soprattutto per renderle progressivamente più dure sino a varare sanzioni che in partenza non sarebbero state accolte dai Paesi Ue ma che step by step, in virtù della logica stessa di ogni escalation, lo saranno. È il caso dell'embargo sul petrolio a cui mira Biden e che potrebbe scattare oggi stesso. Si tratterebbe di una misura ancora più estrema delle altre, destinata ad avere ricadute pesantissime sui Paesi sanzionatori, dunque politicamente insostenibile senza un'Ucraina ancora pienamente resistente e combattente.

Questa strategia ha un limite enorme che ha citato ieri proprio Draghi: i sanzionatori saranno travolti dall'effetto boomerang delle sanzioni stesse, ma non tutti allo stesso livello di gravità. Dunque è vitale per alcuni Paesi, tra cui l'Italia, che venga costruita una rete di appoggi e solidarietà tale da stroncare almeno in parte la ricaduta delle sanzioni. Per la Germania, però, nessuna rete di protezione sarebbe sufficiente in caso di embargo sul petrolio russo, che considera quindi inaccettabile. Ma senza quell'embargo, con 700 milioni di euro al giorno incassati dalla Russia, la resistenza dell'Ucraina dovrà durare molto a lungo e non è affatto detto che le armi fornite dall'occidente permettano agli ucraini di farcela.