«Il messaggio che passa è che prima o poi chi ha fatto certe cose le paga. Non si scappa», aveva dichiarato in una intervista “profetica” al Dubbio lo scorso gennaio il professore di diritto Alessio Lanzi, allora componente laico del Consiglio superiore della magistratura in quota Forza Italia. Oggetto del contendere erano le ormai stranote chat dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, utilizzate da circa quattro anni da parte dell'organo di autogoverno delle toghe con modalità quanto mai differenti fra loro.

Nei confronti di Alberto Liguori, procuratore di Terni, tali chat erano state esaminate dal Csm ai fini della conferma quadriennale per l'incarico direttivo. Dal loro contenuto, scrisse il Csm nella delibera con cui negò la conferma di Liguori, era emerso che il magistrato avesse alterato «il corretto svolgimento del procedimento amministrativo afferente il conferimento di uffici direttivi o semidirettivi attraverso Palamara».

Tali chat, però, erano già state oggetto di valutazione per incompatibilità ambientale e funzionale, sempre nei confronti di Liguori, conclusasi con un'archiviazione. Nonostante il precedente, il Csm aveva deciso che dovessero essere tirate nuovamente fuori dal cassetto. «Nel diritto esiste una categoria, il ne bis in idem, secondo cui non è possibile essere giudicati in continuazione per la stessa cosa. È un principio cardine», aveva detto sempre Lanzi, anticipando di fatto il giudice amministrativo che lunedì scorso ha annullato il provvedimento di non conferma del Csm, accogliendo così il ricorso di Liguori.

«La delibera - scrive il Consiglio di Stato - evidenzia una palese contraddittorietà, poiché nella delibera di archiviazione del gennaio del 2021 ha affermato che i contenuti delle chat non risultano idonei a determinare ”anche in astratto un appannamento della funzione di procuratore e incidere in alcun modo sull'ufficio che dirige”». «A parte le chat, nessuno si è domandato come ha esercitato la funzione in questi anni, come ha fatto le indagini e così via», aggiunse allora Lanzi, fortemente critico per la decisione presa del Csm.

Il voto, per la cronaca, era finito undici a nove, con due astenuti, per la non conferma di Liguori. Determinanti erano state le toghe progressiste, unitamente al presidente della Cassazione Pietro Curzio. «I “vincitori” sono stati anche confessori. Senza tanti giri di parole hanno detto che era stato un errore non trasferirlo all’epoca per incompatibilità ambientale e, soprattutto, non averlo sottoposto a procedimento disciplinare dove sarebbe stato sicuramente condannato», aveva infine ricordato Lanzi. Durante il dibattito era stata criticata aspramente la procura generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare, che non aveva proceduto a suo tempo contro il procuratore di Terni. Il nuovo Csm a guida Fabio Pinelli aveva deciso di non costituirsi nel ricorso.