«Ridatemi i soldi dell’abbonamento». «Non è una condanna definitiva, ma…». Tifosi, sindacati, politici. Tutti contro la Reggiana calcio, “colpevole” di voler ingaggiare Manolo Portanova, condannato in primo grado a sei anni per stupro di gruppo. Un crimine odioso, se l’accusa si rivelerà fondata, ma al momento la Costituzione sta dalla parte di Portanova.

E della Reggiana, che vorrebbe far indossare al centrocampista la maglia granata, scontrandosi contro l’ira di chi, invece, ha deciso che la prima sentenza basta e avanza, in barba ai principi dello Stato di diritto. Portanova, proveniente dal Genoa, era stato cacciato dalla squadra ancora prima della sentenza e scaricato anche dal Bari, che voleva acquistarlo, dopo le proteste dei tifosi. Ed ora lo stesso accade a Reggio Emilia, dove a scendere in campo non sono solo i supporter, ma anche esponenti del Partito democratico e della Cgil.

«Sarebbe bello poter attribuire certe scelte di calciomercato al caldo che sta mettendo alla prova il Sud Europa, ma non è così. La notizia che Manolo Portanova – accusato per stupro di gruppo e condannato in primo grado a sei anni – arriverà a Reggio Emilia è ormai ufficiale. Sappiamo però che il calcio non è solo sport, ma un rito collettivo e i giocatori esempi in cui i tifosi e le tifose si immedesimano. Avremo dunque come portatore dei valori della Reggiana un uomo che, come scrive nella sentenza la giudice Ilaria Cornetti, ha abusato di una donna il cui “dissenso è stato sin da subito, e per tutta la durata del rapporto sessuale di gruppo, evidente e manifesto” - si legge in una nota di Reggio Emilia in Comune -. Sosteniamo le tifose e i tifosi granata che pubblicamente hanno contestato questa decisione affinché venga ritrattata perché non possiamo giustificare in alcun modo la violenza di genere».

Una sovversione delle regole, insomma: nonostante per la legge il giovane calciatore sia ancora innocente, dovrebbe essere bandito dal mondo del calcio. Un po’ come accaduto ad un ex calciatore della Reggiana, Michele Padovano, campione d’Europa con la Juventus e poi, di colpo, precipitato nel baratro di un’accusa infondata, che gli ha rovinato la carriera, salvo poi uscirne pulito 17 anni dopo. Ormai distrutto.

Portanova, 23 anni, ha disputato l’ultima partita il 4 dicembre scorso. A denunciare il presunto stupro di gruppo una studentessa di 22 anni, secondo cui, la notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in un appartamento a Siena, sarebbe stata abusata sessualmente dal calciatore e altri tre soggetti, tra cui lo zio dello stesso. La ragazza – si legge nella sentenza - fu «trattata come un oggetto» e sottoposta a un vero e proprio incubo fatto «di rapporti sessuali ripetuti e non consenzienti, schiaffi e violenze». Accuse che Portanova ha sempre respinto.

«Ci chiediamo se la scelta di portare a Reggio Portanova sia opportuna per la squadra di calcio della nostra città e non sollevi invece interrogativi di merito sul messaggio che rischia di passare», scrivono invece, in una nota, Elena Strozzi, segreteria Cgil Reggio Emilia e Barbara Vigilante, segreteria Spi Cgil Reggio Emilia. Per le due si tratterebbe di una scelta «inopportuna» per «il carico simbolico che porta con sé ci appare». Il motivo? «In un momento storico in cui la voce delle donne, il loro di diritto ad autoderminarsi e a decidere del proprio corpo sono oggetto di narrazioni che le colpevolizzano e di proposte di leggi che provano a limitarne le libertà, forse acquisire un giocatore già condannato in primo grado per un reato tanto odioso quanto inaccettabile e ora in attesa dei gradi di giudizio successivi non era la scelta migliore. Forse laddove persistono zone d’ombra su vicende così moralmente inaccettabili non bisognerebbe rischiare di sbagliarsi».

Insomma, per sostenere la battaglia contro la violenza di genere sarebbe necessario cancellare la Costituzione, o almeno una sua parte. E poco importa se alla fine dell’iter giudiziario - magari lungo - Portanova dovesse risultare innocente: a quel punto la sua carriera sarebbe già finita. A dare manforte alle proteste anche la parlamentare Pd Ilenia Malavasi, secondo cui sebbene «una condanna in primo grado per stupro di gruppo non è una sentenza definitiva», sarebbe stato necessario «porre la massima attenzione», dato il reato contestato al calciatore e i particolari «raccapriccianti» emersi nel corso del dibattimento. Da qui il giudizio positivo sulla «protesta» dei tifosi, «chiara testimonianza di una presa di coscienza rispetto a un tema – quello della violenza sulle donne – che non può conoscere ambiguità di pensiero o giustificazioni di sorta».

Ma c’è anche chi dice no: «Mi chiedo sommessamente se un lavoratore dopo una condanna di primo grado, che non è quasi mai esecutiva, deve perdere il suo lavoro - si legge sulla pagina del periodico granata Regia Alè -. E visto che il lavoro di Portanova è quello di calciatore, se un calciatore dopo una condanna di primo grado non debba più svolgere la sua professione. Sarebbe molto grave che questa convinzione fosse estesa a tutti».