Si potrebbe semplificare e dire che la maggioranza, sostenuta dal Terzo polo, ha espresso un parere negativo sulla “proposta di direttiva anticorruzione” dell’Ue perché non vuole altri ostacoli nel già sdrucciolevole cammino del ddl Nordio. Ed è in parte la verità, ma non basta. Perché il voto con cui ieri mattina l’Aula della Camera ha approvato il documento della commissione Politiche Ue di Montecitorio fa emergere altro. Innanzitutto la compattezza sulla giustizia di un centrodestra in versione extralarge.

Sui 290 presenti, ben 187 hanno detto sì (100 invece i contrari, tutti dal fronte Pd-M5S-Avs) al parere predisposto dal relatore, il deputato di Fratelli d’Italia Antonio Giordano, avvocato napoletano che ha riferito con ricchezza di argomenti sulla “bozza” di direttiva europea. Come detto, tra quei 187 ci sono anche i deputati di Azione e Italia viva. E dunque la prima certezza è che la maggioranza di Giorgia Meloni si è messa alle spalle le tensioni culminate, dieci giorni fa, nel richiamo della premier al ministro Carlo Nordio, che, sul concorso esterno, aveva parlato troppo e comunque «non da politico».

Dopo quella scossa che ha fatto temere di nuovo per le prospettive del guardasigilli, il centrodestra torna unito sulla giustizia. Con una certa fermezza nel respingere le ipotesi estreme avanzate dal Parlamento di Strasburgo e dal Consiglio europeo. Soprattutto, si sfata il mito secondo cui una parte prevalente della maggioranza, FdI e Lega, sarebbe pronta ad accantonare ogni scrupolo garantista non appena si rischia di vedere indebolita l’immagine della destra legge, ordine e “certezza della pena”.

Emerge ancora un altro dato: se si tratta di difendere l’autonomia italiana dalle pretese obiettivamente debordanti dell’Europa, l’ordine dei fattori cambia. Forse sollecitati anche da un mai sopito istinto euroscettico, i partiti di Meloni e di Salvini si irrigidiscono e sono pronti persino a difendere il garantismo della riforma Nordio, nel momento in cui c’è da respingere le pretese eurocomunitarie.

E ancora più nello specifico, ieri, con il loro voto, maggioranza e Terzo polo hanno sfidato le perplessità europee sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, contenuta appunto nel ddl Nordio. Ad attaccare per prima, nella seduta mattutina di Montecitorio, è stata la 5 Stelle Elisa Scutellà: ha citato l’ormai famosa Convenzione Onu di Merida, che imporrebbe, ancor prima della direttiva, di non cancellare l’articolo 323 del codice penale, e la più generica esigenza, manifestata da Bruxelles, di allestire «un sistema anticorruzione efficiente» per fronteggiare i rischi legati alla gestione del Pnrr.

Gli ha replicato Gianfranco Rotondi, intervenuto a propria volta in rappresentanza di FdI, che ha ricordato come in realtà quell’accordo siglato nel 2005 alle Nazioni Unite «indichi l’incriminazione dell’abuso d’ufficio come meramente facoltativa: nella Convenzione di Merida c’è una ponderazione con cui la proposta di direttiva Ue non sembra coerente, visto che quest’ultima mette sullo stesso piano obblighi e mere raccomandazioni». Si può abrogare l’articolo 323 senza provocare strappi con la comunità internazionale, fa notare dunque il partito della premier.

C’è poi un argomento particolarmente energico, che non dovrebbe lasciare indifferente lo stesso Pd, ed è sfoderato dal leghista Stefano Candiani: «Non possiamo tollerare che, come sembra fare la collega che mi ha preceduto», cioè la 5S Scutellà, «si arrivi ad associare il concetto di abuso d’ufficio, automaticamente, ai sindaci, ai carabinieri o ai medici».

Il relatore, il meloniano Giordano, solo un attimo prima ha messo a nudo il vero punto debole della proposta di direttiva Ue, contro il quale il Parlamento italiano può scagliarsi agevolmente, cioè la violazione del principio di sussidiarietà, vero oggetto del parere votato ieri: «In base all’articolo 5 del Trattato di funzionamento, l’Ue legifera nel momento in cui su una determinata materia gli obiettivi non possono essere adeguatamente conseguiti con le legislazioni nazionali». E a parte il fatto che, proprio l’Italia, di strumenti repressivi ne ha fin troppi, in questo caso, spiega il parlamentare di FdI, «anziché davanti a norme minime, ci troviamo con una proposta di direttiva che svela quasi un intento di codificazione: sembra l’inizio di un progetto di codice penale europeo, in particolare sui delitti contro la Pa».

E sì, perché non mancano, nella “bozza” di Strasburgo, aggravanti, nuove fattispecie, persino allungamenti della prescrizione, come segnala l’azzurro Pietro Pittalis. Ed è proprio il vicepresidente forzista della commissione Giustizia a far notare con malizia che «la proposta Ue nasce sull’onda delle ben note vicende giudiziarie che hanno interessato eminenti personaggi della sinistra europea», il Qatargate.

Il dem Piero De Luca non raccoglie la provocazione, e si soffeerma piuttosto sulle ombre di euroscetticismo: «Contrariamente a quanto sostiene la maggioranza, l’Europa ha piena competenza sulla corruzione: avete piantato una bandierina ideologica da sventolare ai vostri elettori». Come a dire che il no a Bruxelles risponde appunto a un antico richiamo della foresta. Fosse pure così, di certo dal voto apparentemente secondario di ieri mattina, Carlo Nordio esce assai più rafforzato di quanto lui stesso potesse immaginare.