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LA POLEMICA SUL FONDO SALVASTATI
No al Mes o saremo costretti a bloccarlo alle Camere». È questo, in estrema sintesi, il senso di una lunga lettera, indirizzata ai vertici politici e istituzionali del partito, con cui ben 69 parlamentari grillini ( 52 deputati e 17 senatori) mettono nei guai il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle.
LA LETTERA È STATA SOTTOSCRITTA DA 52 DEPUTATI E 17 SENATORI
«È il momento di non arretrare su posizioni che sono nostre» dicono i ribelli. Il Pd non gradisce: «Ma hanno letto il testo?»
«No al Mes o saremo costretti a bloccarlo alle Camere». È questo, in estrema sintesi, il senso di una lunga lettera, indirizzata ai vertici politici e istituzionali del partito, con cui ben 69 parlamentari grillini ( 52 deputati e 17 senatori) mettono nei guai Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle. Destinatari: capo politico, capo delegazione, capigruppo e membri del governo. E anche se nel corso delle ore alcuni dei firmatari sostengono di non aver mai sottoscritto quella missiva - da Mattia Fantinati a Iolanda Di Stasio, passando per Loredana Russo e Sabrina De Carlo - il senso politico della lettera rimane: in Parlamento mancherebbero i numeri per sostenere la riforma del Mes, ora che anche Silvio Berlusconi ha allineato Forza Italia alla strategia del centrodestra. A complicare il quadro: i tempi. Il presidente del Consiglio si presenterà alle Camere per le comunicazioni sul Fondo salva Stati il 9 dicembre, alla vigilia del Consiglio europeo. Difficile portare a più miti consigli la fronda ribelle in così poco tempo. Come a nulla, del resto, è servita la riunione di maggioranza di ieri mattina alla presenza del ministro Vincenzo Amendola per trovare una soluzione. L’impasse restta.
Sbrogliare la matassa è complicato e Di Maio lo sa perfettamente, tanto che nei giorni scorsi era stato lo stesso ministro degli Esteri a mettere le mani avanti con dichiarazioni battagliere: «La riforma del Mes è tutt'altro che entusiasmante, a me sembra peggiorativa. E noi il Salva- Stati non lo useremo perché c'è il Movimento 5 stelle. Non ci sono i numeri in Parlamento per sbloccarlo. Èun dibattito che non esiste, il Mes non si usa». Una posizione molto diversa da quella espressa dal capo politico in carica Vito Crimi, che pur escludendo ogni ricorso al Mes da parte dell’Italia, aveva aperto al processo di riforma del Meccanismo europeo di stabilità.
Ma il ministro degli Esteri sa che non può forzare la mano con la base parlamentare - mediamente allergica alla stessa parola Mes - se vuole tenere uniti i gruppi in una fasa così delicata per la vita del M5S e risfoggia gli slogan barricaderi per accontentare l’ala ortodossa. Ma sa pure, Di Maio, che il governo italiano ha preso un impegno in Europa difficilmente aggirabile. Al momento non gli resta che giocare su entrambi i tavoli, nella speranza di trovare un compromesso onorevole per tutte le parti in causa.
Eppure, i toni utilizzati dai colleghi di partito su quella lettera, non sembrano lasciare spazio a possibili manovre di Palazzo. «È il momento di non arretrare su posizioni che non sono nostre», scrivono i “frondisti”, convinti della necessità di «riaffermare con maggiore forza e maggiori argomenti, quanto già ottenuto negli ultimi mesi: no alla riforma del Mes». Consi delle diverse posizioni presenti in maggioranza, gli ortodossi sostengono di non avere alcuna intenzione di mettere in difficoltà il governo, chiedono “solo” ch «che nella prossima risoluzione parlamentare venga richiesto che la riforma sia subordinata alla chiusura di tutti gli altri elementi ( EDIS e NGEU) delle riforme economico- finanziarie europee in ossequio alla logica di pacchetto, o in subordine, a rinviare quantomeno gli aspetti più critici della riforma del Mes».
Per limare le spigolature, Crimi convoca per domani sera un’assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato, ma il clima in maggioranza si è già surriscaldato. «I parlamentari del M5S contrari alla riforma europea del Mes, dovrebbero come prima cosa leggere i testi dell’accordo e poi giudicare», dice stizzito il capo dei senatori Pd, Andrea Marcucci. «Lo dico perché l’accordo sottoscritto anche dall’Italia è oggettivamente migliorativo. Il dissenso che rischia di aprirsi nella maggioranza è comunque un problema che riguarda principalmente i capigruppo 5 Stelle», aggiunge Marcucci. La situazione rischia di precipitare e ne è consapevole anche il sottosegretario grillino ai Rapporti col Parlamento, Gianluca Castaldi, che prova gettare acqua sul fuoco. «Si troverà una soluzione, ne sono certo. È importante che il M5S sia compatto. Siamo stati sempre un gruppo diversificato, ma siamo tutti d’accordo sul Mes: il tema è la strategia politica da trovare». L’importante è fare in fretta, perché un eventuale stop alla riforma del Mes deciso da un solo partito manderebbe in crisi l’intero esecutivo.