Adesso anche la procura di Crotone vuole vederci chiaro. E così, dopo i rimpalli di responsabilità su chi avrebbe dovuto intervenire per salvare i migranti al largo di Crotone ed evitare la tragedia, ha aperto un fascicolo - al momento contro ignoti e senza ipotesi di reato - sulla catena dei soccorsi nella notte tra sabato e domenica, quando il caicco con a bordo almeno 180 migranti è andato a sbattere contro una secca, provocando la morte di almeno 68 persone.

Il procuratore Giuseppe Capoccia ha delegato le indagini ai Carabinieri, che stanno ora acquisendo le relazioni e tutto il materiale utile a comprendere cosa sia accaduto tra le 22.30 del 25 febbraio - quando l'aereo di Frontex ha segnalato la presenza di una imbarcazione nello Ionio - e le 4.30 del 26 febbraio. Quel che è certo, al momento, è che la tragedia si sarebbe potuta evitare, come ammesso dal Comandante della Capitaneria di Porto di Crotone, Vittorio Aloi, secondo cui «si poteva uscire anche con mare forza 8». Ovvero in condizioni metereologiche ben peggiori di quella notte, quando il mare era forza 4. «Non mi risulta che si trattasse di una segnalazione di distress - ha dichiarato Aloi -, sapete che le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano comunicazione di Sar (di salvataggio ndr). Io non ho ricevuto alcuna segnalazione».
Secondo la ricostruzione, Frontex, nella tarda serata di sabato, avvisa il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della presenza del barcone a 40 miglia dalle coste calabresi. L’agenzia europea parla di un uomo solo sul ponte, ma anche di una significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua e di una telefonata satellitare dalla barca alla Turchia, elemento che fa ipotizzare che si tratti di una imbarcazione di migranti. Una comunicazione arriva poi anche dalla Guardia di Finanza, che spedisce due motovedette in mare. Ma si tratta di un’operazione di polizia, dunque non adeguata al salvataggio, che si conclude poco dopo per vie delle avverse condizioni meteo. Fino a questo momento nessuno apre un evento Sar, che consentirebbe il salvataggio dei migranti.

«Gli elementi di cui eravamo a conoscenza noi e la Guardia di Finanza non facevano presupporre che ci fosse una situazione di pericolo per gli occupanti - ha dichiarato da Bruno Vespa il capo della Comunicazione della Guardia costiera, Cosimo Nicastro -. Non erano arrivate segnalazioni telefoniche né da bordo né dai familiari». Una volta rientrate in porto le motovedette, la Finanza contatta via radio la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Ma nemmeno in questo caso vengono «segnalate situazioni critiche» tali da far scattare «un'operazione di emergenza». Alle 4.10 arriva al 112 una telefonata da un numero internazionale, in inglese. E a quel punto i Carabinieri si precipitano in spiaggia, dove già affiorano i primi corpi. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si gettano in acqua, salvano cinque migranti, ma tutto attorno ci sono corpi, compreso quello di un neonato di sei mesi. Se tutto questo fosse evitabile ora sarà la procura a chiarirlo. E intanto i parlamentari di Alleanza Verdi e Sinistra hanno presentato un esposto alla procura di Roma per chiarire eventuali responsabilità dei ministri Matteo Piantedosi e Matteo Salvini: «Vogliamo sapere se ci sono state direttive tese a non far uscire le navi della guardia costiera a mare», ha dichiarato Angelo Bonelli.
Intanto continua l’indagine sui presunti scafisti. Mercoledì il gip Michele Ciociola ha convalidato il fermo di Arslan Khalid, 25 anni, pakistano, mentre il turco Sami Fuat, di 50 anni, non è stato ancora interrogato in quanto sottoposto a quarantena per aver contratto il covid. E oggi il gip del tribunale dei minori Donatella Garcea ha convalidato il fermo di un giovane di 17 anni, anche lui pakistano. Per il giudice avrebbe avuto un ruolo determinante prima come organizzatore del viaggio e poi durante la navigazione. Accuse che il giovane, assistito dall’avvocato Salvatore Perri, ha respinto. E secondo il legale si tratterebbe di un capro espiatorio, al pari dell’altro pakistano finito in carcere, anch’egli suo assistito.

«Il fatto di essere stati veicolo di richieste da parte degli scafisti affinché tenessero “a bada” gli altri migranti non fa automaticamente di loro dei trafficanti - spiega al Dubbio -. In queste situazioni comportamenti del genere possono determinare anche la salvezza di chi li compie, come ci insegnano casi tragici di persone gettate in mare per essersi ribellate agli ordini. C’è un video che mostra i migranti sulla nave: erano tutti liberi, non c’erano carcerieri. E anche i miei assistiti stavano tra di loro». E sono gli stessi migranti sopravvissuti - ai quali nel corso degli interrogatori è stato chiesto addirittura su quale conto corrente avrebbero versato i soldi per il viaggio - ad indicare tre turchi e un siriano quali scafisti. «Tra i migranti c’erano diversi pakistani - spiega -. Ed è palese che l’unico tra i fermati ad essere stato identificato con certezza, grazie anche al contributo dei miei assistiti, è il turco, aggredito sulla spiaggia dai sopravvissuti davanti agli occhi delle forze dell’ordine». Ad incastrare i due giovani, dunque, il loro farsi “tramite” rispetto alle richieste degli scafisti. «Una cosa assolutamente frequente negli sbarchi: come potrebbero quattro scafisti tenere a bada, da soli, 180 persone? I miei assistiti hanno pagato al pari degli altri per partire e non si sono sottratti alla ricerca dei responsabili - continua Perri -. Perché si parla di componente strutturale pakistana se è certo, da oltre 10 anni, che gli indizi per identificare gli scafisti stanno nell’eccentricità della nazionalità, il possesso di documenti di riconoscimento e di mezzi per la fuga? Non vorrei che, proprio perché ci sono tante vittime, si cerchi in qualche modo un contrappeso. Non sarebbe giusto. Si tratta di disperati, glielo assicuro».

E sulle parole del gip Ciociola, da molte considerate ironiche e inadatte ad una tragedia, Perri non ha dubbi: «Credo sia stato montato un caso. Si tratta di una persona molto seria e sono convinto che volesse dire il contrario di ciò che è emerso: gli sbarchi non sono una novità sulle coste calabresi e ora tutti se ne accorgono solo perché c’è stata una tragedia. Era un modo per sottolineare che una tragedia era assolutamente prevedibile».