Va rifatto daccapo il processo disciplinare alla pm di Palermo Alessia Sinatra, condannata dal Csm con la censura per quella che fu definita una sorta di «giustizia fai da te», un tentativo di condizionare l’esito della candidatura a procuratore di Roma del collega Giuseppe Creazzo, che quattro anni prima l’aveva molestata. Una “vendetta” che avrebbe tentato di mettere a segno sguinzagliando - secondo i colleghi che l’hanno punita - l’ex capo dell’Anm Luca Palamara, chiedendogli di evitare la nomina del magistrato e preferendo, dunque, questa via a quella della denuncia, dimostrando così «evidente e profonda sfiducia nell’istituzione giudiziaria». Quella sentenza, che tanto aveva fatto scalpore, oggi è stata rispedita a Palazzo Bachelet dalla Cassazione. Secondo cui la Sezione disciplinare, nel valutare la condotta «sicuramente inopportuna della dottoressa Sinatra» - che si era sfogata in chat con il ras delle nomine  -, «connotata da modalità di comunicazione non consone al ruolo rivestito ed esorbitanti nei contenuti, non ha però verificato in concreto ed a posteriori se e in che modo la stessa abbia effettivamente leso il bene specificamente tutelato dalla singola norma di tipizzazione dell’illecito e, in caso negativo, il bene tutelato dall’art. 3-bis, cioè l’immagine del magistrato e della magistratura». Insomma, il Csm si sarebbe limitato a censurare alcune scelte - «come quella di non denunciare a suo tempo la condotta abusante subita, che peraltro è poi risultata pienamente confermata», che pure «restano in un ambito affidato alla singola sensibilità e non possono esse di per sé sole qualificare negativamente il comportamento successivamente tenuto». E anche a voler ignorare «il contesto amicale in cui le inopportune affermazioni e richieste sono state effettuate - si legge nella sentenza - non si può tralasciare di prendere in considerazione l’influenza che sul comportamento tenuto può aver avuto la grave e protratta sofferenza che accompagna chi sia stato vittima di molestie sessuali (nello specifico provenienti da un collega più anziano e nell’ambito di un contesto lavorativo)». Un elemento sottovalutato nonostante dagli atti del procedimento fosse emerso che «la condotta abusiva di cui la dottoressa Sinatra (difesa da Mario Serio) era stata vittima aveva determinato effetti che permanevano nel tempo come “crisi di ansia ed attacchi di panico in situazioni legate alla rievocazione di quell’evento” per il tradimento del sentimento di amicizia e di lealtà, oltre che sul rapporto di colleganza».

Secondo la Cassazione, la sentenza pronunciata a febbraio 2023 non avrebbe chiarito in che termini le chat con Palamara «si siano in concreto tradotte in una effettiva lesione del bene specificamente individuato dalla previsione dell’illecito disciplinare in esame (vale a dire in una concreta interferenza nelle attività consiliari), né, in caso negativo, se sia risultata lesa l’immagine pubblica del magistrato». Sinatra, nel suo ricorso, aveva chiarito che la vicenda si era esaurita «in un mero scambio di messaggi senza poi sfociare in un’effettiva attività di interferenza nella procedura di elezione dell’incarico direttivo e non aveva inciso negativamente sull’iter procedurale del Consiglio superiore». Una condotta da ritenere «di scarsa rilevanza con la conseguenza che si sarebbe dovuta applicare l’esimente prevista per tali casi dall’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006», così come pure affermato dal procuratore generale nel corso del giudizio disciplinare. Inoltre, aveva obiettato Sinatra, «il giudice disciplinare, trascurando precedenti in termini dello stesso Consiglio, si sarebbe concentrato sulla circostanza della mancata proposizione da parte dell’incolpata di una querela per denunciare il fatto del quale era stata vittima, quasi a ritenere che dall’instaurazione del procedimento penale sarebbe risultata sanata la ferita morale sofferta per effetto della condotta abusiva del collega. Per la Cassazione, «con una valutazione ex ante, e non ex post come si sarebbe dovuto, la Sezione disciplinare ha ritenuto non solo grave l’offesa recata al bene giuridico del corretto svolgimento delle procedure di selezione comparativa degli aspiranti alla nomina ad incarichi direttivi ma anche verificatasi la lesione dell’immagine del magistrato e dell’ordine giudiziario». Ma il giudice «deve tenere conto della consistenza della lesione arrecata al bene giuridico specifico e, qualora pervenga a un giudizio di scarsa offensività, verificare poi se quel fatto abbia concretamente determinato un’effettiva lesione dell’immagine pubblica del magistrato», verifica che, in questo caso, non ci sarebbe stata.

«Le mie parole hanno un’unica “responsabilità”. Quella di voler esprimere e contenere, a salvaguardia della mia persona e del mio ruolo istituzionale, esclusivamente il mio dolore», aveva detto davanti ai giudici disciplinari Sinatra poco prima della sentenza. E oggi la Cassazione lenisce un po’ quel dolore.