La legge era stata proposta già nella scorsa legislatura senza successo. L’idea di dover tutelare il professionista in caso di malattia è fra quelle che sconvolgono l’ordine costituito. Come se venissero giù certezze che sorreggono l’intero consesso civile. E invece è una cosa semplice: se la Costituzione tutela sia la salute (all’articolo 32) sia il diritto al lavoro (all’articolo 4), nessun avvocato, commercialista, consulente del lavoro, notaio o ingegnere dovrebbe essere costretto a lavorare se sta male, né dovrebbe essere responsabile di mancati adempimenti in virtù di un impedimento fisico, e neppure dovrebbe preoccuparsi di difendere a tal punto con le unghie e coi denti la propria clientela da non ricoverarsi pur di andare a studio.

Banalità? Macché: pane quotidiano. Su cui ora finalmente una legge all’esame della commissione Giustizia di Palazzo Madama prova a intervenire. Un ddl per giunta ipertrasversale. Miracolo nel miracolo: la propone come primo firmatario un senatore di Fratelli d’Italia, Andrea de Bertoldi, lo affiancano il capogruppo della Lega a Palazzo Madama Massimiliano Romeo, l’azzuro Gilberto Pichetto Fratin e altri quattro senatori di schieramento avverso, cioè di maggioranza, ossia Emiliano Fenu ed Elvira Evangelista ( M5S), Mauro Marino ( Pd) e Dieter Steger ( Svp). Si tratta di 11 articoli, che eliminano, per 30 giorni, la responsabilità del libero professionista e del suo cliente per mancati adempimenti nei confronti della pubblica amministrazione dovuti a «grave malattia o infortunio o intervento chirurgico, ovvero in caso di cure domiciliari, se sostitutive del ricovero». È chiaro che lo spettro della tutela riguarda essenzialmente le categorie impegnate a regolare il rapporto fra contribuenti e fisco. È comunque significativa la previsione di concretizzare il principio con la sospensione dei termini fino a 45 giorni.

In un quadro simile si tratta di norme inapplicabili all’attività processuale degli avvocati, visto che all’articolo 1 ci si riferisce al solo «termine stabilito in favore della Pa per l’adempimento di una prestazione a carico del cliente da eseguire da parte del libero professionista». Come ha fatto notare martedì scorso in audizione il consigliere Cnf Ermanno Baldassarre, «gli adempimenti tipici dell’avvocato sono dovuti in favore del cliente, non dell’amministrazione: perciò la legge non tutelerebbe la difesa in un giudizio, ma magari solo l’attività di colleghi come i tributaristi». C’è stato un certo smarrimento nella commissione Giustizia, convinta che quei «termini» potessero riguardare anche la gran parte dell’attività forense. Al che Baldassarre ha rilanciato: «Provate a valutare modifiche che tutelino l’avvocato impedito a rispettare i termini dagli stessi eventi avversi».

Si vedrà. Va detto che nell’articolato vi è una tutela anche per le gravidanze premature e le interruzioni di gravidanza successive al terzo mese. Di certo, nonostante il silenzio su altri dossier che gridano vendetta, come le necessarie integrazioni alla disciplina dell’equo compenso, arriva comunque un segnale di attenzione vero nei confronti delle professioni. Un pur minimo ristoro dell’incredibile discriminazione subita con il diniego dei finanziamenti a fondo perduto, assicurati, dal Dl Rilancio, a tutte le partite Iva “non ordinistiche”. E va pure detto che la reazione prodotta dai professionisti con gli Stati generali d’inizio giugno potrebbe aver creato persino uno spirito competitivo fra partiti, nella corsa a porre rimedio. Ieri i senatori di centrodestra della commissione Giustizia hanno invitato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, che seguirà il dossier sul ddl de Bertoldi, ad assegnare una corsia preferenziale per una tutela affine ma specificamente rivolta agli avvocati: il legittimo impedimento in caso di isolamento fiduciario, quarantena o addirittura contagio da coronavirus. Forse un pleonasmo, ma anche l’eccesso di zelo, a questo punto, è un segno di svolta.