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È un discorso costituzionale sulla giustizia, quello con cui Giorgia Meloni saluta il Congresso nazionale forense.
È da poco intervenuto il guardasigilli Carlo Nordio, autore della riforma che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri. Ha dialogato in videocollegamento con il presidente del Cnf Francesco Greco: il ministro a Roma, in procinto di volare a Padova per le esequie dei tre carabinieri uccisi martedì, il vertice dell’avvocatura a Torino, sul palco di un auditorium del Lingotto gremito di delegati.
Sullo schermo, nel pieno di una mattinata in cui si parla degli avvocati e della loro riforma, la presidente del Consiglio parte proprio dal rilievo della funzione difensiva («voi siete coloro che tutelano, prima ancora dei vostri assistiti, i pilastri del nostro vivere comune» ) per poi arrivare alla legge costituzionale sulle carriere dei magistrati. E nel legare le due questioni, è come se scrivesse un manifesto del giusto processo, che - dice - «non c’è» se non sono «gli avvocati», appunto.
L’avvocatura, ricorda innanzitutto Meloni, «ricopre un ruolo fondamentale nel nostro ordinamento perché assolve un principio alla base della nostra civiltà giuridica, il diritto di difesa come baluardo contro ogni forma di arbitrio». È una premessa che allude chiaramente a quel rilievo costituzionale della professione forense che il governo aveva ipotizzato, in una prima fase, di inserire nel ddl sulla separazione delle carriere. «Nessuno può perdere o essere privato del diritto di essere difeso in giudizio», continua Meloni, «perché il venir meno di questo diritto equivale al venire meno della dignità stessa della persona. Ciò che distingue radicalmente un ordinamento civile da un regime è proprio il rispetto integrale della dignità di ogni persona, chiunque essa sia, qualunque delitto abbia commesso, qualunque pena gli sia stata inflitta al termine di un giudizio. Voi quindi siete coloro che tutelano, prima ancora della posizione processuale dei vostri assistiti», aggiunge appunto la premier, «le basi stesse del diritto e i pilastri del nostro vivere comune».
Fino a un promemoria che disegna l’idea di giustizia a cui, evidentemente, il governo guarda con la riforma costituzionale prossima all’ultimo sì del Parlamento: «Senza avvocati non solo non esisterebbe la giustizia, ma non ci sarebbe neanche il presupposto per realizzare quel giusto processo che la nostra Costituzione sancisce e che la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere punta a rendere concreto. Non può esserci giusto processo se non in contraddittorio davanti a un giudice che non solo deve essere terzo ma deve anche apparire come tale. È esattamente ciò che intendiamo fare con la riforma della giustizia all’esame del Parlamento», ribadisce dunque la presidente del Consiglio, «che prevede la separazione fra chi accusa e chi giudica, che punta a garantire una vera parità processuale tra accusa e difesa».
È la chiave dell’intero discorso: la separazione delle carriere come riforma strettamente connessa alla funzione dell’avvocato. È l’idea che Meloni intende sostenere anche in vista della campagna sul referendum confermativo: l’obiettivo non è solo affrancare i magistrati dal correntismo, come ha più volte detto anche in tempi recenti, ma innanzitutto realizzare la giustizia basata su tre pilastri, giudice, pm e difensore, come dice Nordio. «La professione forense è depositaria di una funzione di rango costituzionale, fondata su quei principi di indipendenza e terzietà che assicurano l’effettività della tutela giurisdizionale e la tenuta democratica dell’ordinamento», continua Meloni. «Gli avvocati, come tutto il mondo delle libere professioni, custodiscono una specificità e un valore economico, culturale e sociale che questo governo ha sempre riconosciuto e difeso».
Da qui il Capo del governo passerà a parlare di un’altra riforma, relativa all’ordinamento forense, protagonista del dibattito congressuale ieri a Torino. È il tema sul quale si è soffermerà subito dopo il presidente della commissione Giustizia della Camera Ciro Maschio, a propria volta esponente di Fratelli d’Italia: «La nuova legge professionale degli avvocati sarà incardinata nei prossimi giorni, e non possiamo che riconoscere il lavoro condiviso grazie al quale il Cnf e tutte le rappresentanze dell’avvocatura ci hanno consegnato il disegno della riforma professionale». Maschio però parte proprio dal discorso sulla parità delle armi nel processo, per poi arrivare all’altro aspetto del ddl costituzionale sui magistrati: «C’è un nucleo rivoluzionario in questa riforma, ed è nell’Alta corte e nel soreteggio secco per selezionare i componenti dei due futuri Consigli superiori: l’articolo 101 della Costituzione sancisce che i magistrati sono soggetti solo alla legge, e non al sistema delle correnti».
Applausi convinti dalla platea. Che ne riserva tanti anche a un altro protagonista della battaglia per la separazione delle carriere, il presidente dell’Unione Camere penali Francesco Petrelli: «Né la svolta compiuta con il nuovo codice accusatorio, né la riforma che, dieci anni dopo, introdusse il giusto processo all’articolo 111 hanno potuto assicurare la figura del giudice terzo che pure la Costituzione enuncia. Siamo il solo sistema accusatorio in cui il giudice, che dovrebbe essere il controllore, condivide con il pm, che dovrebbe essere il controllato, carriere, promozioni, valutazioni di professionalità e disciplina. Noi non dobbiamo chiederci perché è necessaria questa riforma: la domanda», è la convincente chiave proposta da Petrelli alla platea dei colleghi, «deve essere un’altra: come mai questa riforma non sia stata ancora realizzata». Fino all’appello conclusivo: «Noi abbiamo tutti, come avvocati, uno straordinario impegno, una grande responsabilità: siate coraggiosi, liberi e indipendenti». Un appello a una campagna referendaria basata sui principi anziché sulla politicizzazione. Ed è proprio il caso di dire che la stessa premier Meloni ha aderito alla linea segnata dagli avvocati.