Chissà se Elly Schlein pensava alla bufala di Corrado Formigli o allo scivolone di Repubblica sulla inesistente “Lobby nera”, quando è andata a manifestare davanti alla Rai per difendere il cosiddetto giornalismo d’inchiesta. Quello che non solo non esiste, ma che si chiama gogna mediatica ed elettorale, come dimostrato dall’archiviazione che a Milano ha riguardato il capodelegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo Carlo Fidanza e altre sei persone. E chissà se dopo l’ennesimo buco nell’acqua le procure italiane staranno più attente ad aprire fascicoli giudiziari sulla base di esposti presentati dal parlamentare più grillino di tutti, Angelo Bonelli. Chissà e chissà.

“Dai neonazi ai soldi sporchi. I video che accusano FdI”. Questa era l’apertura del quotidiano La Repubblica e del direttore Maurizio Molinari (diamo anche a lui i meriti che gli sono dovuti) del 2 ottobre 2021. I due editoriali, firmati rispettivamente da Stefano Cappellini e Paolo Berizzi, cioè il “garantista” e l’”antifascista”, emettevano sentenze irrevocabili: «La destra impresentabile» e «Dal Cuore nero al Parlamento». Era sabato, la campagna elettorale per le elezioni comunali di Roma e soprattutto Milano era ufficialmente terminata la sera prima a mezzanotte. Ma si sa che la regola vale per le televisioni ma non per i quotidiani.

E il giovedi sera, in tempo utile per orientare l’elettorato e per arrivare alla carta stampata alla vigilia delle urne, si era mosso Corrado Formigli, un altro cui tanti ex imputati poi assolti devono gratitudine per la prontezza con cui la sua trasmissione dall’evocativo titolo di “Piazza pulita” li ha esposti alle forche caudine. Aveva denunciato l’esistenza di cento ore di filmati registrati da un infiltrato nel mondo milanese del partito di Giorgia Meloni che indicavano uomini di Fratelli d’Italia come pronti alla corruzione, oltre che nazisti e antisemiti. La “barba finta” si chiamava Salvatore Garzillo, collaboratore di Fanpage, e viene definito ”giornalista sotto copertura”. Un genere di cronista fino a quel momento sconosciuto ai più. Una sorta di trojan infilato per tre anni in un partito come agente provocatore, la specie investigativa tanto amata dal mondo grillino.

Ma questo napoletano immigrato a Milano, che cosa fa per “coprirsi”, travestito da imprenditore, in Fratelli d’Italia? Non avvicina, più o meno furtivamente, i dirigenti di partito, ma si rivolge a uno che da tempo era stato espulso e che era anche già stato condannato per apologia del fascismo. Roberto Jonghi Lavarini a Milano è molto conosciuto, è una brava persona con troppa ideologia nostalgica, ma del tutto lontano da beghe di sottobosco politico. Con Carlo Fidanza e gli esponenti di quello che fu il piccolo Movimento sociale e poi Alleanza nazionale e oggi Fratelli d’Italia lui ha al massimo qualche rapporto di amicizia. E infatti nei pochi spezzoni dei filmati lunghi tre anni si vede anche qualche inopportuna scena di braccia tese con Fidanza che al massimo ride. Forse un allegro aperitivo di troppo, ma niente di più.

Poi il finto imprenditore “provocatore” dice che vuol finanziare il partito e il referente storico lombardo di Giorgia Meloni gli spiega come fare il versamento sul conto corrente oppure finanziare qualche evento direttamente. Tutte banalità di piccolo cabotaggio da campagna elettorale locale. Proprio una ricca selvaggina, dopo tre anni di infiltrazione. Ma poi tutti quei titoli sui giornali, e il momento storico – era appena stato condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, e Matteo Salvini era alle prese con la vicenda di Luca Morisi, altra vittima delle gogne mediatico giudiziarie - avevano indotto Fidanza a sospendersi dal partito e Giorgia Meloni a chiedere di poter visionare le cento ore di registrazione. Cosa che non avverrà perché nulla sarà messo a sua disposizione.

Naturalmente gli incauti e gli infiltrati grillini nel Pd, che sono molti, non si astennero dal commentare. Per esempio la segretaria milanese Silvia Roggiani aveva dichiarato che era evidente “un quadro inquietante e pericoloso su cosa sia il partito della Meloni e sulla galassia nera che gli gravita intorno”. Fiato inutile, il sindaco Beppe Sala, che era candidato al bis del governo della città, aveva già la vittoria in tasca. Però, si sa, in campagna elettorale tutto fa brodo. Quel che stupisce è il comportamento di chi ha condotto l’inchiesta.

Che fosse una bufala era sotto gli occhi di tutti, a partire dall’esposto di Angelo Bonelli fino agli spezzoni di Fanpage trasmessi da Piazza Pulita. Pure la Guardia di Finanza volle andare avanti. E sarà il pm Giovanni Polizzi, il 20 dicembre 2022 a chiedere l’archiviazione per tutti gli imputati. Ma intanto era trascorso più di un anno. E poi ci sono voluti ancora tredici mesi, cioè più di un altro anno, perché la gip Alessandra Di Fazio infine archivierà tutto e metterà la parola fine a una delle tante bufale del secolo. Che cominciano a essere veramente troppe. Due anni e mezzo sono passati, il sindaco Sala è ancora al suo posto e l’europarlamentare Carlo Fidanza sarà nuovamente capolista alle imminenti nuove elezioni.

Dobbiamo di nuovo aspettarci l’invenzione di qualche ulteriore “lobby nera” e nuove patacche di Formigli o Molinari benedette da Elly Schlein come “giornalismo d’inchiesta”?