«Così come nessuno può addebitare a un procuratore della Repubblica un intento intimidatorio nei confronti degli indagati, nessuno può permettersi di imputare al ministro un’interferenza invasiva quando esercita le sue prerogative per verificare la conformità del comportamento dei magistrati ai dovere di diligenza, tra i quali campeggia il dovere motivazione dei provvedimenti. Perché in democrazia vige il principio di uguaglianza, in democrazia non esistono surrogati della legge. In caso contrario dovremmo domandarci se le migliaia di cittadini sottoposti a procedimenti penali con accuse poi rivelatesi infondate siano meno uguali rispetto a chi, indossando la toga, dovrebbe essere il principale garante di questa eguaglianza». Non fa passi indietro il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che nello scontro con le toghe sulla decisione di avviare l’azione disciplinare sui giudici di Milano decide di andare fino in fondo.

L’oggetto del contendere è la decisione della Corte d’Appello di Milano di spedire ai domiciliari, con braccialetto elettronico, Artem Uss, l’imprenditore russo figlio di Alexander Uss, il governatore della regione siberiana di Krasnojarsk, considerato vicino al presidente russo Vladimir Putin. Un soggetto estremamente pericoloso, accusato dagli americani - che ne chiedevano l’estradizione - frode bancaria e riciclaggio, nonché di contrabbando di petrolio e tecnologie civili e militari dagli Usa alla Russia. Ma Uss, una volta revocata la custodia in carcere, si è dato alla fuga. Da qui l’incidente diplomatico con gli Usa e le accuse a Nordio sulle sue responsabilità, rispedite al mittente dal Guardasigilli. Secondo cui a sbagliare sarebbero stati i giudici della Corte d’Appello di Milano, che nonostante i ripetuti allarmi lanciati dalla procura generale e dal ministero - che li avrebbero «inondati di osservazioni sul pericolo fuga» -, hanno scelto di concedere i domiciliari. Da qui la decisione di usare il potere disciplinare per “grave e inescusabile negligenza”, determinata dal fatto di “non aver valutato” elementi dai quali emergeva “l’elevato e concreto pericolo di fuga”. Decisione, questa, che ha scatenato le reazioni della magistratura, la cui indipendenza, ha tuonato l’Anm, sarebbe stata «minacciata». Non secondo Nordio, però: «Se l’ordinamento consente o addirittura impone di accertare la conformità del comportamento dei magistrati alla normativa esistente - ha sottolineato - è dovere del ministero procedere con gli stessi criteri con cui i pubblici ministeri inviano l’informazione di garanzia ai cittadini nei cui confronti svolgono le indagini».

Ma facciamo un passo indietro. Nordio ha deciso di rivolgersi direttamente al Parlamento, con un’informativa, per «chiarire le competenze e le risoluzioni del ministero» e replicare a «critiche e insinuazioni» arrivate anche da chi di diritto, afferma, dovrebbe capirne qualcosa. Un errore «da matita blu» che ignora un fatto: il ministero, ha sottolineato, non aveva «nessuna competenza e men che mai oneri di controllo su decisioni giurisdizionali». Ed è singolare, ha aggiunto, che le accuse di non aver agito per impedire la concessione dei domiciliari arrivi proprio da chi, solitamente, attacca il ministro con la scusa di difendere autonomia e indipendenza della magistratura. Il tutto anche alla luce del fatto che Nordio aveva comunque comunicato, con una nota, «la propria volontà di richiedere il mantenimento della custodia cautelare in carcere nei confronti di Uss per assicurare la consegna di costui alle autorità statunitensi».

Le possibilità di azione del ministero erano regolate, in questo caso, dall’articolo 716 del codice di procedura penale, che disciplina la facoltà di arresto della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio, concessa alla polizia giudiziaria se ricorrono le condizioni di legge. Il ministero è dunque intervenuto dopo l’arresto di Uss, bloccato all’aeroporto di Malpensa il 17 ottobre 2022, da parte della polizia aeroportuale, a seguito di un ordine di cattura internazionale. Il ministero poteva dunque solo chiedere il mantenimento della misura coercitiva entro dieci giorni dalla convalida della stessa, richiesta comunicata il 20 ottobre alla Corte d'appello di Milano, al ministero dell'Interno, divisione Interpol, e al Maeci, allo scopo «di assicurare la consegna di costui alle autorità statunitensi». Da qui la palla è passata ai magistrati: «Ogni successiva eventuale modifica del regime cautelare rimane in piena ed esclusiva competenza delle autorità giudiziarie, giudicanti o requirenti, nel loro rispettivo incontro dialettico», al quale «il ministero della Giustizia è completamente estraneo». Anche perché non esiste «non vi è nessuna specifica disposizione normativa che attribuisca al ministero della Giustizia un potere di richiesta di sostituzione della misura cautelare applicata dall'autorità giudiziaria», cosa che «del resto, sarebbe contrario ai principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura».

Nordio ha ripercorso l’intero iter della vicenda, a partire dalla nota del 15 ottobre, con la quale il Dipartimento di giustizia degli Usa chiedeva l’arresto provvisorio di Uss evidenziandone la pericolosità. Dopo l’arresto, il 19 ottobre, lo stesso dipartimento segnalava «l’evidente e sostanziale rischio di fuga» di Uss in caso di rilascio. Da qui la nota con la quale il ministero, il giorno successivo, ha chiesto alla Corte d’Appello il mantenimento della custodia cautelare in carcere. Gli Stati Uniti hanno poi ribadito la pericolosità di Uss il 25 ottobre, con una nota, estesa anche alla Corte d'Appello e alla procura di Milano. La procura generale della Corte d’Appello, dal canto suo, ha espresso il parere contrario all’accoglimento dell’istanza di Uss volta a ottenere i domiciliari con braccialetto elettronico, depositando un «parere documentatissimo» sul pericolo di fuga. Nel frattempo si è aperta la partita dell’estradizione: a invocarla sono stati sia la Russia - la cui richiesta, presentata il 7 novembre, è stata inoltrata ai magistrati il 15 novembre - sia gli Usa - la cui domanda è arrivata il 9 novembre e inoltrata a Milano il giorno successivo -, richieste rispetto alle quali il ministero, il 22 novembre, ha sottolineato l’esistenza di «solide ragioni giuridiche e non giuridiche» a sostegno dell'estradizione verso gli Stati Uniti.

Ma con ordinanza del 25 novembre, eseguita il 2 dicembre, la Corte d’appello, V sezione penale, ha accolto l’istanza avanzata dalla difesa di Uss, sostituendo il carcere con i domiciliari corredati dall’applicazione del braccialetto elettronico. Una scelta motivata in «cinque righe», ha sottolineato Nordio: a convincere i giudici sarebbe stata la dimostrazione, da parte di Uss, di disporre di un’abitazione a Milano e della disponibilità della moglie ad accogliere il marito. «Ciò nonostante l’autorità giudiziaria - ha sottolineato Nordio - fosse stata inondata di osservazioni sul pericolo fuga». La decisione ha suscitato stupore nelle autorità statunitensi, che il 29 novembre hanno dunque inviato una nota al ministero e all’Interpol esortando l’Italia, dato l’alto rischio di fuga, «a prendere tutte le misure possibile per applicare la custodia cautelare in carcere per tutto il periodo di estradizione». Una nota che non conteneva «alcuna novità», ha sottolineato Nordio per replicare a chi lo ha accusato di non averla girata ai giudici milanesi con celerità, ovvero solo il 19 dicembre.

Il ministero, nel rispondere agli Usa, ha evidenziato «come sia di esclusiva spettanza della Corte stabilire la misura più idonea anche nell’ambito della procedura di estradizione», sottolineando che in Italia gli arresti domiciliari «sono equiparati in tutto al carcere». La domanda di estradizione, dunque, è stata accolta dalla Corte d’Appello solo a fuga già avvenuta. Da qui la rivendicazione dell’operato del ministero e anche la scelta di approfondire il comportamento dei giudici. «In base agli elementi documentali acquisiti e in ragione della giurisprudenza del Consiglio superiore della magistratura - ha concluso Nordio -, il ministro, sentiti gli uffici di diretta collaborazione e ogni altro dipartimento interessato, può esercitare l'azione disciplinare chiedendo alla procura generale della Corte di Cassazione di svolgere le necessarie e complete indagini. Anche qui, la decisione finale sull'esito di queste indagini non spetta al ministero della Giustizia, spetta al procuratore generale della Cassazione, che può chiedere il rinvio a giudizio o un non luogo a procedere. E affermo solennemente che nell'ufficio della procura generale questo ministero nutre la massima e incondizionata fiducia per quanto riguarda la sua competenza e la sua imparzialità».