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PALAZZO DI GIUSTIZIA ALESSANDRO CRISCUOLO DI NAPOLI, TRIBUNALE
È l’efficienza giudiziaria estrema. Altro che Pnrr, altro che disposition time. Inutile contare i giorni: c’è chi ha trovato il modo di azzerarli. Parliamo del Tribunale di Napoli, che ha emesso una sentenza fulminante, o più semplicemente fulminea. Condanna dell’imputato sulla base della seguente motivazione: “Allo stato degli atti acquisiti emergono elementi probatori tali da consentire una previsione di condanna”. Non c’è scritto pure “fidatevi, è così”, ma il senso è quello.
A scovare questo capolavoro di espressionismo giuridico è stato il sempre prezioso Riccardo Radi, avvocato che cura da anni, insieme con Vincenzo Giglio, uno dei blog più seguiti da avvocati, giudici e pm: terzultima fermata.blog. Va riconosciuto, agli inventori del sito, un talento da rabdomanti della rete. Perché di decisioni, fra i vari gradi di giudizio e le diverse procedure, ce ne sono milioni, e non è facile rintracciare, in quel mare, perle simili.
Adesso, il caso specifico della pronuncia annullata con rinvio dalla prima sezione penale della Cassazione (con sentenza numero 17902 del 2025, presidente Monica Boni, relatore Raffaello Magi) è davvero impegnativo. Vale la pena di partire dalla sentenza altrettanto concisa – ma non poteva essere altrimenti, c’era poco da aggiungere – emessa lo scorso 11 febbraio dalla Suprema corte.
“Sul ricorso proposto da D. D. avverso la sentenza del 04/07/2024 del Tribunale di Napoli, vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale Giuseppina Casella, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso”, il che non sorprende, “ritenuto in fatto” che, con la sentenza impugnata, il Tribunale aveva “affermato la penale responsabilità di D. D. in riferimento al reato di cui all’art. 75 d.lgs. n.159 del 2011”, cioè la violazione dell’obblighi relativi alla sorveglianza speciale, con “condanna alla pena di mesi sei di arresto...” e che “con il ricorso si deduce l’assenza grafica (sic!) di motivazione della sentenza”... Visto tutto questo, appunto, “il ricorso è fondato”.
Spiega la Cassazione: “Nel testo della decisione si afferma testualmente che 'allo stato degli atti acquisiti emergono elementi probatori tali da consentire una previsione di condanna'. Non vi è altro sviluppo argomentativo sul tema della responsabilità e della ricostruzione del fatto. Manca, pertanto, graficamente, la motivazione della sentenza, intesa – ai sensi dell’art. 546 cod.proc.pen. – come concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. L’espressione utilizzata in sentenza non consente, infatti, in alcun modo di apprezzare l’avvenuto vaglio delle risultanze dimostrative poste a carico dell’imputato ed è al di sotto di qualsiasi standard minimo di chiarezza e precisione delle forme di rappresentazione del convincimento giudiziale”.
Secondo la prima sezione di piazza Cavour, sussiste dunque “il denunciato vizio ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c cod.proc.pen., dato che l’assenza grafica di motivazione determina la nullità della sentenza”. E per questi motivi il collegio “annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli in diversa persona fisica”.
«Non è un unicum», osserva Radi, «non dico che casi del genere siano frequenti, ma neanche posso dire che non se siano mai visti. Certo, la storia della sentenza in quindici parole è molto particolare, perché la frase chiave utilizzata dal giudice del primo grado sembra evocare piuttosto il dispositivo del rinvio a giudizio». E sì: com’è noto, con la riforma Cartabia è stato previsto che il gup disponga il processo solo qualora possa formulare una prognosi di “ragionevole previsione di condanna”. Norma che da una parte rafforza il peso dell’udienza preliminare, la sottrae al desolante rango di mero passaggio di carte, ma che pure può incidere sul libero convincimento del giudice dibattimentale. Il quale, in effetti, a fronte della ragionevole previsione individuata dal collega, potrebbe sentirsi vincolato a condannare a prescindere.
Ed è un po’ quello che potrebbe essere avvenuto a Napoli. Anche se sottrarsi all’elaborazione di una pur minima ricostruzione degli elementi emersi nel dibattimento è scelta che va ben oltre il condizionamento prognostico.
Resta l’ombra di una giustizia così efficiente da liofilizzarsi, da stilizzarsi. Una sublimazione del processo penale. Lo condanno perché è colpevole, ve lo dico io. In fondo potrebbe trattarsi anche di una tecnica per riportare fiducia nel sistema: la personalità del giudice come garanzia unica e assoluta di una decisione corretta. È il “fidatevi” di cui sopra. O anche quel “e ho detto tutto” di decurtisiana memoria evocato, su terzultimafermata.blog dall’insostituibile avvocato Radi. D’altronde, del grande Totò, Napoli è la patria. Ed è difficile trovare un luogo in cui le lezioni di vita siano più disarmanti.