«Nessuno scavo, solo lavori di manutenzione», risponde il portiere della casa del jazz in viale Porta Ardeatina 55. Che si attiene probabilmente alle istruzioni di riservatezza ricevute e così recita anche il cartello posto di fronte al grande cancello chiuso. Ma la presenza di una pantera della polizia, di una gazzella dei carabinieri e di alcuni mezzi della GdF fa sorgere qualche dubbio sulla natura dei lavori in corso nel grande giardino che circonda gli stabili.

Tra i cronisti presenti sul marciapiede rimbalza un nome e un’ipotesi: stanno cercando i resti di Paolo Adinolfi, magistrato scomparso nel nulla il 2 luglio del 1994 dopo essere uscito da casa ed aver avvisato che sarebbe tornato per pranzo. La presenza di cani molecolari e di operai muniti di pale e badili sembrano validare quest’ipotesi. Quello che oggi è un luogo di cultura un tempo era la villa del tesoriere della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti.

«Ci sono molti punti bui in questa vicenda - racconta al Dubbio Raffaele Guadagno, autore insieme ad Alvaro Fiorucci del libro “La scomparsa di Adinolfi” - nel 1997 chiedemmo al tribunale di Roma di poter accedere alla villa. Quando facemmo l’accesso insieme ai due tecnici incaricati dal Tribunale, scendemmo nel tunnel di tufo che corre sotto la villa per svolgere accertamenti e rilevazioni tecniche ma non potemmo proseguire oltre a un certo punto a causa di una frana, che sembrava essere piuttosto recente e forse causata dall’uomo, che bloccava il percorso».

Guadagno racconta come la prima indagine svolta all’indomani della scomparsa del magistrato, venne chiusa con un’archiviazione. «Un mese prima della data in cui Adinolfi si sarebbe dovuto recare a Milano per l’indagine che stava seguendo sul fallimento della Assicurazioni Ambra ricevette una chiamata, che durò circa 94 secondi, allo studio che Adinolfi aveva a casa della madre da un telefono intestato all’Eni in uso a Gabriele Cagliari, morto due anni prima. Il contenuto della telefonata è rimasto sconosciuto. La cosa strana è che nel corso della prima indagine non furono acquisiti i tabulati telefonici, li richiedemmo noi solo nel 1997».

Una domanda sorge spontanea: cos’ha portato gli inquirenti a tornare a scavare 31 anni dopo la scomparsa del magistrato e 28 anni dopo gli ultimi scavi? Ufficialmente la decisione d’intervenire sarebbe stata presa dalla Prefettura a seguito della richiesta dell’ex giudice Guglielmo Muntoni. Le ragioni però potrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere altre, ovvero collegate all’arresto di Massimo Nicoletti, figlio di Enrico Nicoletti, lo scorso 9 ottobre dopo una latitanza durata circa tre mesi.

Nicoletti Jr. potrebbe aver fornito nuovi elementi che hanno portato gli investigatori a voler tornare nel tunnel di tufo della villa dell’ex tesoriere della Banda della Magliana, magari cercando i resti del magistrato potrebbero incappare nel tesoretto della Banda o nei resti di altre persone scomparse, come quelli di Emanuela Orlandi. «Trovare il corpo di Emanuela Orlandi mi sembra un’operazione troppo complicata - ha dichiarato l’ex magistrato Otello Lupacchini a Lapresse - una sorta di salto mortale triplo carpiato dal punto di vista logico, neanche dal punto di probabilistico, ma sotto il profilo possibilistico sì, è possibile. Ritengo possibile che ci siano i resti anche di Emanuela Orlando. Anche perché la cittadina vaticana sparisce nel 1983 e la catacomba viene tombata nel 1994».