La proposta di Mattarella: parlamentarizzare la crisi per riavviare il rapporto di maggioranza

Un'ora di collquio col capo dello Stato, poi Draghi si chiude in un gelido mutismo. Dopo qualche ora convoca il Cdm e annuncia la decisione di dimettersi, contro il parere del presidente. Non è ancora l'ultimo atto, o almeno non necessariamente. Mattarella insisterà perché parlamentarizzi la crisi con l'obiettivo di riavviare il rapporto di maggioranza. Di certo nel colloquio informale del pomeriggio il presidente lo aveva frenato con toni anche molto fermi, chiedendogli di pensarci meglio. Mattarella non vuole la crisi ora, ritiene le elezioni anticipate anche solo di pochi mesi, nella situazione data, pericolose, pensa che il governo dovrebbe arrivare almeno sino a dicembre. È possibile, per non dire probabile, che abbia fatto presente il peso che avrebbe una scelta simile sullo scacchiere ucraino. Prima Johnson, poi Draghi: al Cremlino scorrerebbe vodka a fiumi.

Il pressing è corale, probabilmente non solo italiano, di certo europeo e forse oltre. Tenendo conto di quel che gli stessi che oggi chiedono a Draghi di restare dichiaravano appena 48 ore fa, per spaventare i 5S, non ci si può non domandare se fare sempre teatro sia proprio il modo migliore per gestire le fasi più delicate. Ma per quanto martellanti e autorevoli siano consigli e suggerimenti l'ultima parola spettava a Draghi e solo a Draghi. Con Mattarella aveva escluso la possibilità di un chiarimento solo formale, un passaggio parlamentare per sentirsi dire che tutto va bene, la fiducia è piena, salvo poi ricominciare a mitragliare. Di certo non avevano frenato la propensione del premier a dimettersi le parole di Conte, che ormai è lanciato e avverte: «O risposte vere, strutturali e importanti o nessuno avrà i nostri voti. Il M5S non voterà mai per gli inceneritori».

Significa che dopo le sofferenze del primo strappo, d'ora in poi i 5S procederanno in libertà, votando contro tutto quel che non gli piace. Le altre forze di maggioranza, soprattutto la Lega, si sentirebbero in diritto di fare altrettanto e questo è precisamente lo scenario che più teme e detesta l'ex presidente della Bce.

Le strade che Draghi aveva di fronte erano tre e solo tre. La più morbida, quella indicata da Mattarella e poi anche da Letta e da svariati ministri, prevedeva lo stesso governo, la stessa maggioranza, nessuna crisi, niente dimissioni. In compenso un chiarimento in Parlamento solenne, pubblico, nella sede adeguata, tutto giocato sulle poche cose da fare nell'ultimo scorcio di legislatura. Anche la seconda ipotesi comportava il medesimo chiarimento ma con una differenza sostanziale: Draghi dimissionario. In superficie cambia poco, nella sostanza tutto. La drammatizzazione è molto più elevata. Le forze politiche, se ci si arriverà, difenderanno i loro cavalli di battaglia con rigidità molto maggiore. Sono eliminati quei margini di ambiguità che un chiarimento anche serio ma senza dimissioni comunque avrebbero consentito. Sarebbe probabilmente la strada più onesta e limpida ma anche a fortissimo rischio di fallimento.

La terza via è quella delle dimissioni irrevocabili.

Partita chiusa. Il capo dello Stato affiderebbe probabilmente a un governo presieduto da una carica istituzionale, presumibilmente Giuliano Amato, il compito di formare un governo per l'ordinaria amministrazione e per gestire la fase elettorale. In circostanze diverse, al punto in cui sono arrivate le cose, sarebbe questa la strada obbligata e forse anche la migliore. Lo è molto di meno in un frangente come quello attuale, cioè in una fase in cui delle emergenze in corso, tutte vere e tutte gravi, si è quasi perso il conto. La prima opzione è stata ormai scartata dalle dimissioni del premier.

Quale strada imboccherà tra quelle rimanenti dipenderà dal confronto, stavolta ufficiale, con il presidente della Repubblica. Ma dai toni adoperati di fronte ai ministri e dalla decisione di respingere i suggerimenti di Mattarella tutto lascia pensare che le dimissioni non siano revocabili e che per verifiche in extremis non ci sia più tempo.