Il governo accoglie la proposta del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin a tutela del diritto di difesa. Con un parere favorevole - ma con riformulazione - che va nella direzione di una maggiore protezione delle conversazioni tra indagato e difensore, salvo che non ci siano fondati motivi per ritenere che quella comunicazione rappresenti corpo di reato.

La rivisitazione del governo verrà annunciata domani in Commissione Giustizia al Senato, dove dopo lo stop di oggi ripartirà il voto sugli emendamenti al ddl Nordio, che al primo giro si è chiuso con il sì all’abolizione dell’abuso d’ufficio. Il testo non è ancora ufficiale, ma quel che trapela, al momento, è la volontà di un intervento più restrittivo rispetto alla situazione attuale, anche sulla base dell’indagine conoscitiva sulle intercettazioni svolta proprio in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, dove diverse voci avevano espresso l’esigenza di maggiori garanzie a tutela del diritto di difesa.

Rispetto alla proposta presentata da Zanettin, secondo quanto verificato dal Dubbio, nella riformulazione sarà escluso l’articolo relativo all’istituzione di un albo dei numeri di telefono dei difensori - idea che non era dispiaciuta nemmeno ad alcuni esponenti della magistratura - e verrà eliminata la parte relativa all’obbligo di distruzione delle conversazioni, che nella proposta Zanettin, secondo il governo, non sarebbe ben disciplinata. Tale parte sarà comunque oggetto di ulteriore intervento normativo della commissione. «Il principio espresso dal mio emendamento rimane intatto, al netto della riformulazione, che conosceremo in aula - ha spiegato al Dubbio Zanettin -. Di certo consideriamo questo risultato un successo, in linea con quelle che sono le esigenze degli avvocati di riservatezza e tutela del diritto di difesa».

A supporto della proposta Zanettin ci sono gli esiti dell’indagine conoscitiva, dalla quale era emersa, a chiare lettere, l’esigenza di difendere l’inviolabilità delle conversazioni - espressione del diritto di difesa - con una «chiara riaffermazione - auspicata da numerosi auditi - del divieto assoluto di intercettazione e, comunque, di ascolto delle comunicazioni tra difensore e assistito». Un divieto che, per poter essere efficace, «deve essere accompagnato necessariamente dal rafforzamento della sanzione processuale di inutilizzabilità, con l’obbligo di distruzione dell’intercettazione eventualmente realizzata».

A confortare la proposta di Zanettin alcune pronunce della Corte di Cassazione, che sono intervenute anche a Sezioni Unite nel 1994, secondo cui «il divieto di intercettazioni» non è indiscriminato, ma riguarda «solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la “ratio” della regola posta dall’articolo 103 codice di procedura penale va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa». Zanettin, nella relazione che accompagnava la proposta di legge poi trasfusa nell’emendamento, richiamava anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che considera «il diritto dell’accusato a comunicare in modo riservato con il proprio difensore» tra «i requisiti basilari del processo equo in una società democratica».

La proposta del senatore forzista prevede, nello specifico, il divieto del sequestro e del controllo delle comunicazioni tra l’indagato e il suo difensore, salvo nei casi in cui l’autorità giudiziaria ritenga, fondatamente, che si tratti di reato. La seconda modifica prevede l’immediata interruzione delle operazioni di intercettazioni nei casi in cui le comunicazioni rientrano tra quelle espressamente vietate, che non possono in nessun caso essere trascritte nemmeno sommariamente e, nelle intenzioni di Zanettin, immediatamente distrutte, pena contestazione di illecito disciplinare. Ma non solo: nell’ottica del senatore va vietata la proroga delle operazioni successive alla prima, «se nel corso degli ultimi due periodi di intercettazione non siano emersi elementi utili alle indagini». Un punto sul quale già martedì le opposizioni avevano battagliato.

«È inopportuno limitare la possibilità di prorogare l’utilizzo di uno strumento imprescindibile per le procure - ha sottolineato in Commissione il dem Walter Verni -, soprattutto con riferimento a indagini particolarmente laboriose (come quelle relative ai reati di corruzione). La misura, infatti, ove approvata andrebbe a detrimento delle vigenti garanzie in favore sia della pubblica amministrazione che del comune cittadino». Un concetto ribadito dal senatore ed ex magistrato grillino Roberto Scarpinato, che ha definito la proposta irrazionale: «In molti casi - ha evidenziato - poter disporre di più tempo rappresenta un elemento cruciale per poter assicurare alla giustizia numerosi criminali. Non è un caso che la politica abbia mostrato insofferenza nei confronti di questo strumento sin dal 1979, in quanto esso consente di inibire e superare il clima di omertà spesso presente negli uffici pubblici».